Capitolo precedente

Pagina principale

Scrittori e poeti 

Indice

Capitolo successivo

Ti trovi nella pagina  del sito di Genzano di Lucania

 GENZANO DI BASILICATA - Cronografia - di Ettore Lorito

PARTE TERZA

 

CAPITOLO IX

 

LA CHIESA ED IL CONVENTO DI S. FRANCESCO

 

    Fuori dell'abitato un tempo, ora al cento del paese nuovo, per il fervore mistico che invase tutto il mondo Cattolico (l'Italia in ispecie) dopo la morte di S. Francesco d'Assisi anche Genzano, tra il 1320 e il 1340 (?) volle avere il suo eremo.

    Nacque così una modesta Chiesa ed un povero convento per i frati minori dell'ordine francescano.

    Nel 1630 furono arricchiti, ingranditi e dotati dalla nobilissima famiglia De Marinis, e propriamente dai germani Don Battista e Don Stefano che avevano comperato il feudo di Genzano.

    Il Convento divenne il centro di cultura del paese senza perdere là caratteristica semplicità propria dell'ordine francescano.

    La Comunità, normalmente, era costituita di nove padri e di sei laici oltre i giovani aspiranti e i numerosi studenti.

    Per diversi secoli tutti i professionisti di Genzano e dei paesi limitrofi compirono i loro studi nel nostro Convento.

    La Chiesa annessa non presentava nulla di notevole dal punto di vista dell'arte; aveva un orologio a torre, come si rileva da una deliberazione del Consiglio comunale in data 10-1-1867; venne fornita di campane molto tardi, nel 1871 e nel 1876.

    Aveva però alla sinistra dell'altare maggiore un superbo mausoleo di marmo con statue di stucco, sotto il quale furono seppelliti il benefattore marchese don Stefano De Marinis, sua figlia Costanza e una piccolissima figlia di costei nominata anche Costanza.

    Ecco la bellissima epitaffio:

D. M. C.

STEFANUS DE MARINI GENUAE PATRITIUS

 GENTIANI CLEMENTIS ET IUSTIZIA INSIGNIS DOMINUS

COELUM POTENS

ET POPULO AMATO SUI DESIDERIUM LENIRET

HIC OSSA RELIQUIT

COSTATIAE FILIAE ET COSTANTIAE EX FILIA NEPOTIS

CINERES UNA REPOSUIT

NE SOAVISSIMA PIGNORA MORS IPSA DIRIMERET

OBIIT ANNO DNI MDCXLI DIE XXVI APRILIS

AETATIS VORO SUAE LIII

    Il Convento ebbe vita prospera e lunga come meritava e non fu estraneo al movimento liberale che portò alla cacciata dei tiranni e all'unificazione d'Italia.

    La Comunità di S. Francesco, per la sua attività patriottica, fu spesso oggetto di inchieste da parte del Regio Governo che però non riuscì a fiaccare lo spirito ardimentoso di quei padri.

    In data 19-5-1827 l'Intendente di Potenza chiedeva, ancora una volta al Decurionato di Genzano, dettagliate notizie sulla condotta dei seguenti monaci:

1) Padre Girolamo da Pietrapertosa, guardiano; 2) Padre Raffaele da Trivigno, Vicario; 3) Padre Buonaventura da Forenza: 4) Padre Leudovico da Salandra, che erano stati segnalati quali «fautori di sette pericolose allo Stato e alla Chiesa».

    La risposta, naturalmente, fu completamente favorevole ai monaci.

    Tra gl' insorti lucani del 1860 si distinse il francescano Bellocchi padre Carlo che volle seguire il Mennuni sino al Volturno.

    La comunità fu soppressa nel 1860 ma i Padri vi rimasero ancora per oltre un decennio.

    La chiesa annessa, dopo la chiusura del Convento rimasta in abbandono, fu più volte chiusa perché dichiarata pericolante, ma, in parte riattata venne riaperta definitivamente al Culto nel 1896 come diremo in seguito.

    Nel 1900, a cura del Sacerdote Don Canio Palumbo, si cercò di innalzarla al primiero splendore facendola sede del fiorente Terzo Ordine di S. Francesco dal Palumbo fondato.

    Ma tale istituzione ebbe vita breve perché avversata da tutte le Confraternite esistenti e dallo stesso Clero.

    Posteriormente fu anche sede, e per breve tempo, della Congrega dei «Luigini» fondata dal Sacerdote Don Leonardo Petraccone.

    La chiesa continuò a vivere miseramente finché venne abbattuta col Convento nel 1930.

    Dai locali del Convento e della chiesa sono stati ricavati il moderno Asilo Infantile «Regina Elena» e l'annessa Cappella.

    Il Mausoleo De Marinis giace a pezzi in un sottano della casa del Signor Olita Vincenzo, amministratore degli eredi della casa Marchesale, in attesa che le autorità provvedano a collocarlo in luogo degno del monumento.