Capitolo precedente

Pagina principale

Scrittori e poeti 

Indice

Capitolo successivo

Ti trovi nella pagina  del sito di Genzano di Lucania

 GENZANO DI BASILICATA- Cronografia - di Ettore Lorito

PARTE QUARTA

CAPITOLO IX

SPIRITO DI CONCORDIA E DI MODERAZIONE

    La presenza a Genzano di Davide Mennuni valse a sanare i dissidi tra i liberali di diverse tendenze e i pavidi sostenitori del Governo Borbonico tanto che Genzano fu tra i paesi di Basilicata che con maggiore slancio, aderirono al Governo di Vittorio Emanuele II.

    Infatti nel plebiscito del 21-10-1860 si ebbe non solo un'insolita affluenza alle urne ma nemmeno un voto contrario.

    Ciò non indicava che non vi fossero ancora dei cittadini, dei sacerdoti ligi ai Borboni, ma stava a significare la stragrande maggioranza dei liberali esistente in Genzano e lo spirito di moderazione e di prudenza che, in quel periodo, caratterizzò il nostro paese e rese possibile una vita relativamente tranquilla mentre, negli altri centri, si combattevano le lotte fratricidi più spietate.

     Qualche punizione, nei riguardi dei più accesi ed imprudenti borbonici non mancò; infatti si ricorda la pena inflitta ai notar don Giuseppe Lagala e al suo compare Tobia Cerasuolo già V. Capo urbano sotto i borboni.

    Legati con le mani dietro alla schiena, su di un asinello, vennero portati in giro pel paese e poi lasciati nella sede del R. Giudicato.

    Trasportati nelle carceri di Potenza vi rimasero diversi mesi e, per riacquistare la libertà, sacrificarono gran parte delle loro modeste sostanze.

    Vi fu ancora il caso del sacerdote don Francesco Amabile, come si rileva dalla seguente denunzia:

    Genzano, 16-3-1864.         Protocollo N. 55

    Al R. Giudice.

    Oggetto: Sacerdote Amabile Francesco.

    «Onde solennizzare con tutta pompa il giorno natalizio di S. M. il Re, e principe ereditario che ebbe luogo nel di 14 andante, non mancai d'invitare con appositi e distinti uffizi tutte le autorità governative, nonché questo arciprete curato, affinché con l'intero capitolo fosse convenuto in questa Chiesa per celebrarsi le sacre cerimonie confacenti a si fausta circostanza, ed implorare dal Cielo coi loro sacri cantici, salute e prosperità a Colui che tanto bene regola le nostre sorti.

    L'invito diretto all'Arciprete fu a colui consegnato in Chiesa nel dì precedente alla festa in presenza di quasi tutti i preti che ne vennero allora per allora informati.

    Incredibilia sed vera, il sacerdote don Francesco Amabile, prendendo la parola, fece osservare che  non conveniva, nè si doveva solennizzare tale cerimonia per un Re fulminato dalla Corte di Roma con la così detta "Scomunica vitante"; che ove il Clero vi acconsentisse la Chiesa sarebbe ipso facto rimasta interdetta.

    Non stimando opportuno richiamare alla memoria della S. V. i fatti posteriori, che le sono purtroppo noti, solamente mi limito a pregarla caldamente d'intervenire con quella scrupolosità ed esattezza, di che è ornata, sui detti dell' indegno sacerdote Amabile, imperciochè quanti udirono simili avvenimenti, restarono scossi nelle loro coscienze.

    Di tale fatto sono testimoni: De Nozza don Pasquale, Arciprete e i sacerdoti: Polini don Francesco, De Lucia don Giuseppe ed anche Polini don Gaspare, dott. fisico.

Il sindaco:

 firmato: Polini».

    Si volle vedere nell'osservazione dell'Amabile, che del resto era ben fondata, oltre che un atto ostile nei riguardi della casa Savoia, un crimine gravissimo, cioè un indice delle relazioni esistenti tra il detto sacerdote ed i... briganti, sostenitori del cessato governo Borbonico.

    Il sindaco, come appare dalla lettera che segue, mentre fu eccessivamente severo nel classificare la condotta morale e politica di don Francesco Amabile, non potette fornire nessun elemento di pruova in merito alla grave accusa.

    Ecco la copia della lettera:

Genzano, 27-3-1864          Protocollo n. 59

Oggetto: Sacerdote Amabile Francesco        '

Signor Prefetto di Basilicata.

«Dò pronto riscontro alla nota della S. V. del 22-3-1864, numero di protocollo riservato 4121, ed a me pervenuta con la data di oggi, assicurando che la condotta politica e morale del contrassegnato individuo è riprovevole sotto ogni aspetto, solo pere niente di preciso posso dinotare alla S. V. che abbia rapporto col brigantaggio.

Il sindaco».

    Non si hanno notizie di altre serie punizioni, anzi, a ripruova dello spirito di tolleranza che caratterizzò la vita cittadina in questo periodo così agitato, si raccontano diversi episodi allegri.

    I rappresentanti del nuovo Governo Nazionale, invece di perseguitare i pochi avversari, li prendevano in giro.

    Vittime delle burle erano, naturalmente gli uomini notoriamente timidi... e che potevano pagare da bere alla comitiva.

    A volte erano perquisizioni false; altre volte arresti fantastici; spesso vi erano chiamate al Quartiere Nazionale ove i malcapitati venivano trattenuti digiuni perché gli organizzatori non consegnavano loro il vitto che le famiglie interessate mandavano.

    E' rimasta celebre la burla fatta in danno del falegname benestante Luigi Spacconciello, uomo assai da bene, ma ligio ai preti di fede Borbonica e compare del notaio Lagala.

    Era la sera dell'ultima domenica di carnevale e lo Spacconciello si accingeva a gustare il succolento desinare preparato per festeggiare tale ricorrenza e l'uccisione del maiale.

    Ad un segnale fatto dal noto burlone «mast Diadosio» o (Di Giulio), si presentarono in casa dello Spacconciello sei militi, scelti tra i più famelici e tra i più noti bevitori, con l'ordine di condurlo al Quartiere sotto l'accusa di «essersi rifiutato di portare sul cappello la coccarda tricolore come gli era stato ordinato in precedenza».

    La moglie dello Spacconciello, Catena Margherita, donna molto ardita, cercò di giustificare il consorte e promise che l'avrebbe mandato al Quartiere il di seguente giacché, per le note condizioni di salute, il suo Luigi non poteva uscire di casa di notte.

    All'immancabile chiasso che, studiatamente, i militi facevano, accorsero i vicini e gli organizzatori della beffa che ottennero per lo Spacconciello il permesso di presentarsi con la coccarda tricolore il di seguente.

    Non parve vero al povero Luigi di essersela cavata a tosi buon mercato e ... invitò tutti a prendere parte alla cena «che fu una vera orgia e finì con musica e ballo e ... con sensibilissimo alleggerimento del peso del maiale ucciso».

    Durante il triste periodo del brigantaggio in Genzano, proprio all' angolo del Parco della Rimembranza dov'è la Croce (in quel tempo detto luogo era coperto di boscaglie e pantani) furono compiuti due cruenti atti di giustizia: il 1° con la fucilazione del brigante Antonio Agatiello di Acerenza, disertore del 3° Granatieri, feroce criminale che aveva non poco insanguinata la nostra contrada.

    Sorpreso dal Brigadiere dei RR. CC. Carlo Todeschini, umile, modesto eroe dell'arma fedelissima, tratto in arresto dopo ben 5 ore di tenace inseguimento e trascinato in paese espiava i suoi delitti tra l'esultazione del popolo il dì 23 agosto 1862(1).

    Il 2° con la fucilazione dei tre briganti catturati a Monteserico dal Mennuni, avvenuta il 1864.

     Ugualmente per mano di un genzanese morì il temibile brigante de Felice detto Ingiongiolo la cui cattura era stata impossibile alla stessa Cavalleria Mennuni oltre che ai RR. CC. ed ai Soldati del 56° del 39° Regg. Fanteria; al 30° Battaglione Bersaglieri, al reparto « Lancieri Lodi» mandati in Basilicata al comando del maggiore generale Pallavicino.

    Si dovette ricorrere ad un espediente poco simpatico, ma non si potè fare diversamente.

    Il vaccaro Caprio Michele fu Francesco si legò con vincoli spirituali al feroce manigoldo ed un bel giorno, nel territorio di Vaglio di Basilicata, durante il sonno, uccise il compare a colpi di scure. 

    Il Caprio, oltre al premio fissato per la cattura o l'uccisione di un brigante, ebbe dal nuovo Governo Italiano, una pensione vitalizia di L. 200 annue, come si rileva da una lettera del Prefetto di Napoli del 1874 esistente nell'archivio Comunale (2).

    Per giustificata cautela il Caprio credette opportuno emigrare.

    Con la morte di Ingiongiolo, avvenuta il 1867, si chiuse, per la nostra zona, il triste periodo del brigantaggio giacché da tempo era scomparso Crocco, che più tardi venne catturato a Roma; era stato bruciato vivo, a causa della sua ferocia, e per ordine di Serravalle, il Di Mare; era stato catturato ed ucciso nell'agosto 1863 ad opera del capo della polizia di Potenza, Temistocle Solera da Ferrara, il Serravalle mentre teneva in ostaggio un angelo di bellezza: Cherubina di Donato.  (Depilato: Fondi, cose e figure di Basilicata, p. 156).

    Non possiamo chiudere questo capitolo della nostra storia senza fare accenno ad un fatto che corre sulla bocca di tutti i Genzanesi.

    In mezzo al disorientamento causato dal brigantaggio non mancarono le gesta criminose di alcuni «galantuomini».

    Si narra di una mascherata capitata in casa del dott. Calogero durante la quale, con le armi in pugno si pretese del danaro dall'incauto dottore.

    Il caso volle che nell'atto di intascare il danaro, per un solo istante, la maschera cadde dal volto del capo della comitiva ed il Calogero ravvisò «un caro amico di famiglia».

    A questo punto la tragedia ... si mutò in farsa purché il galantuomo, vistosi scoperto, si affrettò a dichiarare che tutto era stato uno scherzo.

    Il dott. fece buon viso e cattivo giuoco, ma rimase nella ferma convinzione di averla scampata bella specialmente per la circostanza che gli altri componenti la mascherata non solo non erano amici del Calogero, ma non godevano fama di... santi.

    I beni informati affermano: che altri colpi del genere erano stati tentati con successo e che I'agiatezza della famiglia del messere proveniva da tale impura fonte.

    Con piacere registriamo che «nessun genzanese andò mai ad ingrossare le squadre dei briganti», come si legge nei rapporti segreti della questura del tempo.

_______________________________________________________

(1) R. Brettagna

(2) Il Giannone erroneamente afferma che Ingiongiolo fu ucciso da vaccari di Vaglio. Anche l'Andreucci è caduto nel medesimo errore.