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 GENZANO DI BASILICATA- Cronografia - di Ettore Lorito

PARTE QUARTA

CAPITOLO III

GENZANO DOPO IL 1799

ELENCO DEI PERSEGUITATI POLITICI

    Genzano non si lasciò spaventare dalle feroci e numerose condanne politiche e tanto meno dallo scandaloso elenco dei «sospetti» chiamati «attendibili» e fu uno dei pochi centri che, dopo gli eccidi del 1799, credé ancora possibile la rivoluzione e quindi l'Unità Nazionale ormai ritenuta «sogno dei settari» e che «si distinse per entusiasmo alle idee innovatrici» (1).

    Tra i martiri la storia registra il valoroso Marchesino di Genzano, Filippetto De Marinis che, col bacio dato al boia nel momento di essere giustiziato, volle offrire una tangibile prova dell'affetto che deve unire tutti i cittadini di uno Stato veramente libero (come quello dai congiurati vagheggiato) per il quale immolava, con tanta semplicità, la giovanissima esistenza.

    A Genzano, però, venne risparmiato il martirio inflitto a tante generose città nell'azione di ripurgo affidato al nefasto Cardinale Ruffo, che rimise sul trono di Napoli il fuggiasco Re.

    Non mancarono però da noi le piccole vendette, le denunzie, gli arresti ecc. ma ciò costituì l'eccezione deplorata dalle stesse autorità preposte al Governo del paese.

    Infatti l'avvocato Montesano, il 14-5-1867, ebbe a scrivere: «In tutti i tempi la popolazione di Genzano è stata modello di fratellevole concordia ed unione tra i diversi ceti della cittadinanza».

    Nel 1806 i francesi misero sul trono di Napoli Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone e, per opera del nuovo re e con decreto del 2 agosto fu abolita la feudalità nel Regno di Napoli e decaddero: i pubblici comizi e tutti i magistrati esistenti sia elettivi che di nomina Governativa; le Università ripresero il nome di Comuni; fu istituito il collegio Decurionale, non più elettivo ma per sorteggio tra gli elegibili e Genzano ebbe tredici Decurioni oltre i due per la frazione di Banzi; il Sindaco che prima era scelto dall'Intendente in una terna proposta dal Decurionato, fu eletto a voti segreti dal Decurionato; i due Decurioni che nella votazione riportavano il maggior numero di voti si chiamarono 1° e 2" eletto e col sindaco costituirono il potere esecutivo; la Provincia si divise in distretti, circondari e mandamenti. Genzano venne assegnato al distretto di Matera ed al mandamento di Acerenza.

    Tre anni dopo, Giuseppe Bonaparte venne sostituito da Gioacchino Murat, fu in questo periodo che fiorì, specialmente nella nostra Basilicata, la mala pianta del brigantaggio, di cui parleremo in seguito.

    Alla campagna Napoleonica, contro la Russia nel 1812, presero parte diversi Genzanesi tra i quali: Muscillo, Anobile (alias Citanova), Polini ed altri due conosciuti sotto gli agnomi di «Michele Paparulo» e «Zi Tanco».

    Tutti ebbero la fortuna di ritornare incolumi in Patria fatta eccezione del Polini che rimpatriò con un orecchio congelato.

    Il nostro paese non fu estraneo ai gravi moti di Oppido del 21-3-1821 durante i quali furono uccisi Don Michele e Don Pasquale Gigante e si spararono fucilate contro don Raffaele Mennuni, erario del Castello e la sua famiglia.

    Vi prese parte con tre dei suoi affiliati più audaci, due dei quali appartenenti alla confraternita del S.S. Sacramento, riuscirono a mettersi in salvo prima che le guardie dei paesi vicini accorressero in aiuto; il terzo, Esposito Michele di Coccia Maria Antonia, alias Sergente, che già dimorava colà, venne arrestato.

    «Nel processo che ne seguì presso la seconda Camera della Gran Corte in Castel Capuano, furono condannati a morte due rivoltosi di Oppido e l'Esposito di Genzano» (2).

    Nulla si è saputo mai degli altri due partecipanti alla rivolta notturna. Il riserbo è ben giustificato dal fatto che era stata tentata violenza al Mennuni appartenente a famiglia molto in vista... e temuta.

    Siamo in grado di poter affermare che uno dei rivoltosi sfuggito alla giustizia fu l'agricoltore Vito Lorito, tenuto nascosto, per circa un mese, dalla famiglia Palumbo.

    Dalla pericolosa e fraterna ospitalità venne fuori il matrimonio tra un nipote del Lorito, Canio (3), e una figlia del Palumbo: Antonia Maria.

    Per l'altro ribelle manca l'autorizzazione a fare il nome; possiamo solo dire che era alla diretta dipendenza della famiglia Mennuni di Genzano e che venne aiutato nella fuga dalla famiglia di Calzaretta Teodoro i cui parenti si erano già trasferiti a Genzano(4).

    Dalla medesima fonte apprendemmo che la salvezza della famiglia dell'erario fu esclusivamente dovuta alla presenza dei Genzanesi tra i rivoltosi giacché proprio ad essi si diete l'incarico di distruggerla.

    I Genzanesi preferirono sbagliare il bersaglio (5) e fecero bene, perché il Mennuni, ultimo erario del feudo di Oppido, fu un gentiluomo amico del popolo.

    Infatti il Giannone afferma che «sotto il Mennuni il Castello era il ritrovo dei gentiluomini del paese ad oggetto di passarvi piacevolmente il tempo tra balli, conviti ed altri leciti divertimenti».         

    Quindi esso fu completamente estraneo alle cause che determinarono la sommossa e non meritava la fine a cui l'ira cieca dei rivoltosi lo aveva condannato.

    Miracoloso l'aiuto prestato, nella prima decade di aprile del 1822, dai nostri liberali, all'intrepido patriota potentino Domenico Corrado che, gravemente ferito, stava per cadere nelle mani della gendarmeria.

    Da un salariato dei Mennuni venne trasportato alla masseria Regina e di li, in un carro pieno di fieno, a Gravina. G. Fortunato il 20 settembre 1898 scrisse: «Domenico Corrado, affiliato alla carboneria, messo al bando, si buttò alla campagna.

    Ferito e feritore in uno scontro con la Guardia Civica presso Genzano, da cui scampò per miracolo, venne sorpreso in una grotta di Gravina prostrato dalla febbre. Portato a Potenza fu giustiziato il 13 aprile» (6).

    La famiglia Corrado, grata per l'aiuto generoso offerto al patriota dai Genzanesi, e specialmente dai Mennuni, volle che un nipote, omonimo del martire, sposasse l'esimia signorina Don Elena Mennuni e si trasferisse a Genzano.

    Nel piccolo moto scoppiato a Spinazzola durante il mese di luglio del 1853 in seguito alle persecuzioni del Sotto Intendente Santoro, ebbero non poca parte i nostri congiurati, ospiti del coraggioso mazziniano Carlo Loperfido (7).

    L'occasione della rivolta venne fornita dal divieto di bruciare, nella Piazza del paese, i fuochi pirotecnici.

    Il Santoro fece imprigionare tutti i liberali; fu impastito un voluminoso processo al quale seguirono numerose persecuzioni e sevizie di ogní genere.

    Raro esempio di sincero cameratismo, non si svelò il nome di nessuno dei Genzanesi che dal Monteserico erano accorsi in aiuto dei fratelli di Spinazzola.

    Nella nostra Genzano, in una casetta rurale messa in contrada Siani (Monteserico), trovò per qualche tempo, sicuro asilo il patriota Riccardo Spagnaletti di Andria quando, travestito, peregrinò anche per le campagne della Basilicata.

    Sempre ad opera dei detti affiliati, fu ucciso, di pieno giorno, nella nostra chiesa parrocchiale il noto inquisitore don Gennaro Vicedomini senza che gli autori venissero identificati (8).

    Eppure le autorità borboniche non dormivano e le punizioni più severe fioccavano in ogni occasione.

    La polizia sorvegliava accuratamente gli «attendibili» eseguendo periodiche perquisizioni nelle loro abitazioni e nei luoghi da essi frequentati.

    In Genzano uno dei liberali più accanitamente perseguitato era don Luigi Claps, soprannominato il «Francese» per la sua fede repubblicana.

    Egli fu costretto a darsi alla campagna per non essere arrestato e rientrò in paese nell'agosto del 1860 issando in Piazza la bandiera dai colori rosso, nero e turchino, distintivo della «Carboneria».

    E' rimasto famoso un tiro audace giocato dal Claps al feroce Intendente Ciccarelli di Potenza.

    Il «Francese», travestito da monaco, ebbe l'audacia di recarsi in casa del temuto capo della Provincia e venne accolto con gli onori dovuti ai «cappuccini fedeli servi del trono» in quel burrascoso periodo.

    Nel partirsi lasciò attaccato al muro del corridoio un insolente sberleffo in cui si diffidava ancora una volta l'Intendente a non perseguitare i liberali «se voleva vivere in pace novant'anni».

    Anche le pie serve della nostra clausura di S. Chiara non furono completamente estranee al movimento liberale genzanese.

    Dai documenti esistenti in casa di donna Peppinella Locoratolo risulta che l'ordine di arresto del di lei nonno materno venne provocato da una fatale imprudenza di una suora.

    Quando, per i moti del 1848, il patriota don Michele Di Pierro fu condannato a 7 anni di ferri e chiuso nei bagni di Procida, a Genzano mancò il capo dei congiurati.

    Pel fatto che tutti i liberali erano tenuti d'occhio dalla polizia, si pensò di affidare i documenti esistenti e quelli che a mano a mano giungevano nelle mani dell'omonimo cugino del condannato, uomo assolutamente insospettato dalla sbirraglia borbonica.

    Ma non tardò molto ed anche il pacifico don Michele Di Pierro cadde sotto la sorveglianza dei gendarmi e si dovette pensare a mettere al sicuro i pericolosi documenti.

    Abbadessa delle nostre clarisse era una congiunta di Don Michele, Maria Teresa Di Pierro, simpatizzante pel movimento liberale; a lei vennero date in custodia le carte.

    Dopo qualche tempo la polizia ebbe sentore «dell'attività criminosa delle suore di Genzano» e provocò, dalla Regia Autorità, un regolare ordine di perquisizione dei locali della clausura.

    In tempo utile dal notar Lagala, capo del partito borbonico, legato da parentela a due delle nostre suore, fu avvisata la coraggiosa abbadessa che credette opportuno di liberarsi dei documenti mandandoli all'amica Giuseppina Maffei, suora nelle clarisse di San Luca della città di Potenza a mezzo dei francescani di Genzano notoriamente amici «delle sette pericolose al Trono»(9).

Avvenne che durante il processo a carico del sacerdote don Emilio Maffei, si sequestrarono all'imputato tre biglietti con i quali la sorella Giuseppina l'informava «che alcuni magistrati le avevano promesso di liberarlo dalla morte». Saputo ciò il Maffei, pel fatto che aveva affidato alla sorella molti documenti della setta, mandò a dire alla clarissa di liberarsi ad ogni costo dello statolo dei... dolci.

    La monaca affidò lo statolo alla fantesca del monastero, Fasulo Francesca (10) e... i dolci andarono, per fatale errore, a finire prima nelle mani del capo custode delle carceri e poi in quelle del Procuratore Generale Echaniz.

    La suora di Potenza fu arrestata e processata e nello stesso tempo si dispose l'arresto di don Michele Di Pieno di Genzano che si mise in salvo con la fuga.

    Si aggirò, il Di Pierro, per le nostre campagne finché, ammalatosi gravemente, si fece trasportare a casa sua ove i gendarmi lo piantonarono.

    Dopo pochi giorni l'ammalato mori di... polmonite, dichiararono i famigliari, di veleno, per non salire il patibolo, dissero i cittadini tutti e i compagni di fede.

    Nulla di male si fece alle suore di Genzano sia perchè le autorità locali

 

 

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(1) V. D'Epico. Dello spirito pubblico in Basilicata.

(2) Giannone.

(3) Nonno dello scrivente.

(4) Biagio Lorito, Appunti sparsi.

(5) Dice il Giannone: durante la notte nel Castello contro i Mennuni, furono sparati dei colpi di fucili

      «ad terrendum».

(6) Il Riviello, sostiene che il Corrado venne catturato nella sua masseria per il tradimento del

      proprio massaro.

(7) Professore. Giura.

(8) Vincenzo Bonifacio. (Carceriere)

(9) Vedi cap. IX, parte III.

(10) Riviello. Cronaca Potentina.