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 GENZANO DI BASILICATA- Cronografia - di Ettore Lorito

PARTE QUARTA

CAPITOLO XIII

GENZANO NEL 1896

    Il malumore popolare per la mancata quotazione delle terre a Genzano spettanti per l'accantonamento e la liquidazione degli usi civici, gravanti sul territorio di Monteserico, non svanì mai.

    Il popolo, che aveva bisogno di terre per lavorare, in mancanza di meglio, chiese la quotizzazione del bosco comunale «Macchia».

    Pel fatto principale che detta spartizione non avrebbe in alcun modo risoluto il problema, anzi avrebbe creato pericolosi risentimenti da parte dei molti che sarebbero rimasti a mani vuote, a causa della limitatissima estensione della «Macchia», le autorità non credettero opportuno acconsentire... e menarono le cose per le lunghe.

    Nel giugno del 1895 una violenta grandinata distrusse tutto il raccolto e specialmente quello delle uve che rappresentava la ricchezza della massa del popolo.

    Ricordiamo, al riguardo, un episodio, che, agli occhi di noi bimbi e del popolino, passò per un vero miracolo.

    Verso le ore 11 di quella infuocata giornata, un vecchio mietitore pugliese tutto sconvolto si mise a gridare sulla strada principale del paese: «Pregate, pregate, figli, la rovina è imminente; una sciagura sta per abbattersi su di voi! » Per scongiurare il triste evento, lanciava in aria la falce e faceva segni strani e pronunziava parole incomprensibili.

    Infine, stanco, seguito dai ragazzi e dai curiosi, andò a inginocchiarsi dietro alla porta della Chiesa di Maria S. S. delle Grazie e si mise a piangere! Qualche ora dopo il caldo si rese insopportabile e, improvvisamente, si rovesciò su Genzano una violentissima grandinata che durò circa dieci minuti distruggendo il raccolto e danneggiando seriamente molte abitazioni.

    Del super sensibile vecchio nessuno seppe più nulla.

    Ai danni ed alla carestia causata dalla gragnuola, seguì una invernata eccezionalmente rigida per cui il popolo soffrì veramente la fame... e, in un momento di sconforto, tumultuò.

    Le donne capitanate da tale Maria Rosa Larrone, da quel giorno appellata «La Regina Taitù»,        furono le prime a scendere in piazza seguite subito dalla massa dei contadini.

    Il tumultuoso corteo girò le vie principali del paese chiedendo: terreni, pane e lavoro! Si pretese che il Sindaco ff. del tempo, don Giuseppe Albani, precedesse la sfilata come effettivamente avvenne.

    Le autorità promisero l'immediata spartizione della Macchia e il licenziamento delle 14 guardie campestri, (la istituzione rimontava al 15-5-1859), che la vigilavano, tanto per calmare la folla che già dava evidenti segni di voler arrivare ad atti di estrema violenza.

    Tuttavia non mancarono le solite rotture di vetri e, da parte dei più audaci, vennero tagliati i fili del telegrafo; però la notizia dei disordini era stata già trasmessa a Potenza, di propria iniziativa dal solerte Ufficiale telegrafico don Antonio Vignapiana.

    Si dovette principalmente al tatto del maresciallo dei R.R. C.C., Stanislao Laghezza, se non avvennero violenze ed atti vandalici.

    Durante la notte giunsero i carabinieri di rinforzo, ed il giorno dopo, un plotone del 23° Reggimento di Fanteria di Potenza.

    Intanto i bollori erano già svaniti... e le retate cominciarono. L'elenco dei ribelli fu offerto, in modo assai ingenuo, dai medesimi dimostranti, ed ecco come.

    Quando la folla invase la sede municipale ed in coro reclamò la quotizzazione del bosco, si consigliò di fare un elenco dei cittadini bisognosi che avevano maggior diritto alla spartizione.

    La gran maggioranza dei dimostranti ebbe premura di farsi prenotare nel timore di rimanere esclusa dal beneficio, data la limitata estensione della «Macchia».

    Sulla scorta di detto elenco, le autorità potettero identificare i responsabili dei disordini e arrestarli.

    Nel processo che ne seguì, gli imputati riportarono condanne dai due ai sei mesi di carcere.

     Naturalmente, come sempre avviene nei disordini, i più furbi se la svignarono e molti innocenti, molti curiosi, quelli che avevano seguito il corteo senza capire bene che cosa si volesse, o che nelle immancabili discussioni avevano trovate giuste le richieste del popolo, furono condannati.

    Il maresciallo Laghezza si ebbe una medaglia d'argento.

    Nel 1896 sorse il primo concerto musicale sotto la direzione del maestro Vittorio Pezzulla Basile.