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 GENZANO DI BASILICATA- Cronografia - di Ettore Lorito

PARTE PRIMA

CAPITOLO VIII

IL SANTUARIO

    A qualche centinaio di passi dal ponte levatoio, sulla spianata del Castello, esiste una disadorna Cappella nella quale, un tempo tutte le domeniche(1), ora una volta all'anno, un Sacerdote di Genzano, dalla scomparsa del Borgo, si reca a celebrare la S. Messa.

    In tondo all'umile Santuario, sull'unico altarino di pietra grezza, vi era un quadro raffigurante l'Annunciazione, pittura su tela di ignoto autore ma di non scarso valore artistico, da qualche decennio sostituito, non si sa da chi, con un quadro di quelli che si vendono, per poche lire dai negozianti ambulanti.

    La sagra Immagine era ed è ritenuta miracolosa ed adorata quale protettrice del vasto territorio.    

    La Cappella, dalla volta a botte, non presenta nulla di notevole, al di sotto di uno sgangherato confessionale si apre una botolina che mena al sottostante ossario.

    Ma la Madonnina di Monteserico non ebbe i suoi primi culti sul vertice della montagna ove sorge l'attuale chiesetta.

    In origine faceva parte delle Immagini esistenti nella «Ecclesia Sancti Andreae» dello scomparso borgo «De Monte Sericola» (2).

    Nel 727 sorsero gli Iconoclasti che fecero sentire la loro opera nefasta anche nel Ducato di Napoli che era di parte Greca, cioè dell'Imperatore d'Oriente.

    Avvennero scene vandaliche in ogni luogo ma specialmente nella nostra regione perché nella Basilicata, a Carbone, i basiliani ebbero una Chiesa ed una scuola.

    Una delle incursioni partite da Carbone, giunse a Monteserico, in tutti i paesi minacciati, le sacre Immagini venivano nascoste nei luoghi più reconditi e e così avvenne dell'Annunciazione di Monteserico.

    Quando furono cessati i feroci bollori, si riprese il culto esteriore nella caverna che aveva custodita l'immagine.

    Solo molto tempo dopo, quando il borgo era già scomparso, si eresse, dalle famiglie dei Genzanesi che facevano un giorno parte del borgo di Monteserico, l'attuale modesto Santuario su di una delle grotte in cui visse e cominciò la predicazione S. Guglielmo da Vercelli, nel secolo XII.

    La Cappella fu dotata di quattro carri di terreno sui quali si teneva la fiera (3) nella prima domenica di maggio di ciascun anno, giorno in cui i Genzanesi in devoto, pellegrinaggio, si recavano al Santuario.

    Posteriormente la data del pellegrinaggio venne spostata ed il rito si svolge ancora oggi nella domenica che precede la Pasqua delle Rose e costituisce la migliore caratteristica delle locali Feste Patronali.

In tale occasione «la popolazione aveva l'uso di emigrare in corpo per celebrare una festività nella Cappella di Monteserico e celebrare la fiera nei quattro carra di terreno annessi e di proprietà della Chiesetta poi, verso mezzogiomo, il corteo si ricomponeva e si recava sul Gorgottiere per il carnevaletto, cioè per i soliti divertimenti di uso, corse di cavalli danze a nacchere e a tamburrini e pranzi che da ultimo erano sepolti nello scuro liquore di Bromii (4) e della libertà.

    Dopo di che la popolazione, capitanata dal Clero, ebetescente e festante, nel corso della notte rientrava ai Sacri Lari» (5).

    Al Castello veniva offerto un sontuoso pranzo alle Autontà di Genzano e al Clero, ed una colazione abbondante ai pellegrini poveri.

    Al Gorgottiere si regalava, e si regala, un pranzo ai poveri reduci dal Castello, il Tavolario De Fusco fa risalire al 1535 l'origine di tale tradizione ma si ritiene di epoca anteriore e precisamente del tempo in cui gli abitanti della borgata dí Monteserico si fusero con quelli di Genzano.

    Del trattamento che i Castellani di Monteserico facevano alle Autorità di Genzano ed ai pellegrini poveri che colà si recavano in occasione della festa e della fiera, l'anonimo cronista altre volte citato ha lasciato un elenco di spese compilato nel 1648 dall'erario del Castello.

    Eccone la copia

« Pel molto Reverendo Clero, pel Capitano, pel 1°  Eletto, pel Giudice della Bagliera di Genzano e per la scorta dei medesimi: Per N. venti pollastri, Carlini dodici; per due rotoli di presunto Grana ventiquattro; per pesce mandato a comperare a Barletta a mezzo dell'ogliarolo di Nola: Cesare d'Aniello, Ducati tre; per carne daino, rotoli dieci, Carlini quattro e Grani due; per caciocavallo, rotoli tre, Grana sessanta; per harrave 80 di vino chiaro, Carlini decedotto. Per stoppelli venti di orgio alli cavalli forastieri tarì sedici.

    Per i pellegrini poveri:

    Per caso, a grani sette la rotola, Carlini otto; per carne di pecora rotola trentasei, ducati uno e grana sedici: per harrave 50 di vino scuro, Carlini sei.

    Per companaggio al correre Pinto, criato dal Marchese Caracciolo, venuto per conto del Rev.mo Cappellano della Cappella del S.S., della chiesa Colleggiata di Grottole, per esigere la Bardella, e per orgio alla sua Cavalcatura, Carlini 1».

__________________________________________

 

(I) Avv. Michele Bonifacio.

(2) Biagio Lorito. Appunti sparsi.

(3) Avv. Marotta.

(4) Genitivo di Bromius (Bacco). E. Lorito.

(5) De Fusco Relazione del 1615 altre volte citata.