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 GENZANO DI BASILICATA- Cronografia - di Ettore Lorito

PARTE GENERALE

CAPITOLO V

LA CONGIURA DEI BARONI

    Nel 1480 regnava in Napoli Ferdinando I d' Aragona il vecchio, ma "sgovernava" a suo talento il feroce Principe Ereditario Alfonso duca di Calabria, detto il guercio.

    L'avidità di danaro dello squattrinato principe ereditario era tale da spingere, ora con un pretesto ora con un altro, il vecchio genitore a spogliare i feudatari dei loro beni, quasi tutti i feudatari, in pieno accordo col Papa, si unirono in lega segreta, più per debellare il futuro re che per abbattere il sovrano regnante.

    Genzano non aveva perdonato al re le usurpazioni dei beni del monastero di Santa Chiara, lasciati al convento da Aquilina Sancia coi testamento del 14 aprile 1327, e attendeva il momento opportuno per la giusta rivendicazione.

    Il nostro Governo Municipale, d'intesa col Clero, con le suore, con le confraternite religiose, all'insaputa del feudatario Matteo Ferrillo, milite al seguito del Guercio, intavolò segrete trattative coro i baroni ribelli.

    Pare che abbia mandato il superiore dei Carmelitani Scalzi... quale rappresentante alle riunioni preliminari che si tennero in Miglionico nella "Sala del Mal Consiglio" di quel castello.

    Per suggerimento avuto in Napoli dal segretario del re, Antonella Petrucci, (del quale il nostro Carmelitano un tempo era stato confessore) che era al corrente della congiura e delle scarse possibilità della riuscita, Genzano e Spinazzola prudentemente si misero in disparte.

    Nessuno seppe mai spiegarsi il perché di tale atto ed infatti, il cronista di quella famosa congiura, Camillo Porzio, si limitò a registrare: "i congiurati lasciarono perdere Spinazzola e Iénzano".

    Le previsioni non tardarono ad avverarsi, i baroni che avevano umiliato il re fino al punto di chiamarlo in Miglionico e imporgli le condizioni della pace, che posteriormente in Salerno, avevano imprigionato il dotto e bravo secondogenito del re, Don Federico, perché non aveva voluto accettare il trono, furono vinti e pagarono con la perdita dei loro beni e con la vita l'audace atto.

    Nemmeno il prudente segretario Antonelli Petrucci riuscì a salvarsi e, perché reo di non aver informato il re della congiura, venne decapitato il 6 novembre del 1480.