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Il Romanzo di Monteserico, SOTTO L'ARCO DI EROS di Ettore Lorito

 

Visite di congedo

 

    Non appena Clotilde fu in grado di uscire, i signori di Monteserico iniziarono i preparativi per la partenza. Vollero prima visitare il paese e cominciarono dalla chiesa della SS. Annunziata, annessa al convento di Santa Chiara nel quale finì i suoi giorni la pia e nobile fondatrice "Aquilina Sancia", loro antenata.

    Sulla soglia del tempio, furono ricevuti dal molto reverendo arciprete, don Nicola Ciola, che presentò il sindaco, don Paolo Maria Vignapiano, cancelliere (notaio), e tutte le autorità della terra ivi convenuti, per il rituale omaggio.

    Gli ospiti illustri ammirarono la cappella che era, ed è, un vero gioiello per la semplicità architettonica, l'armonia delle luci e dei colori furono oggetto di speciale attenzione: le artistiche grate, il superbo pergamo di legno dorato a sfondi rossi, con lo stemma dei Sancia, che poi divenne quello di Genzano, « un leone rampante con tre spighe d'oro, accanto ad un castello merlato e finestrato »; due preziose pitture su tavole, rappresentanti santa Chiara e sant'Antonio abate e i due grandi quadri che fiancheggiano l'altare maggiore, anche di autori sconosciuti, ma di notevole pregio, la contessina poggiò la fronte sull'altare sottostante al suggestivo quadro della Annunziazione e pianse amare lagrime al ricordo della tremenda profezia della pitonessa, mentre le pie serve di Dio, intonavano il « Magnificat » in onore dei feudatari di Monteserico e signori della comunità.

    Indi si passò nell'avansala della clausura, la porta interna era spalancata e solo una tavola, alta meno di un metro, ne sbarrava l'ingresso e indicava il limite oltre il quale a nessuno era consentito avanzare, la badessa, donna Chiara Maria Falcinelli, venne avanti con le braccia incrociate sul petto e piegò il ginocchio destro, in atto di omaggio e di obbedienza dovuti alla famiglia della fondatrice della clausura.

    Presentò, a mano a mano che sfilavano alla medesima guisa,, le ventisei monache, le quattro educande e le sei inservienti in­terne. Infine il procuratore del monastero, don Pa­squale Albani, sacerdote, riferì sull'andamento amministrativo della comunità ed offrì una copia del bilancio dell'annata chiusosi con un avanzo di ducati novantasette, grano trentasei e tre cavalli. La vecchia contessa si congratulò per il regolare andamento della clausura e, nel partire, lasciò una rilevante somma per i poveri dell'università.

    Passarono poi a visitare la mater ecclesia, dedicata a Santa Maria della Platea, ove ricevettero l'omaggio del clero servente, formato da sei sacerdoti e da ventidue chierici.

    Ammirarono un fastoso quadro di scuola napoletana, un polittico della Madonna, che ha dato il nome al tempio, a cinque scompartimenti, opera pregevole di autore non bene identificato, e l'altare privilegiato del Crocifisso, nella cappella dei signori Dellagli.

    Alla notizia delle misere condizioni in cui viveva gran parte del clero, la contessa dispose che, ogni anno, in occasione del pellegrnaggio al santuario di Monteserico, venissero consegnati all'arciprete di Genzano « dieci ducati per i sacerdoti poveri e ducati tre per i chierici bisognosi ».

    Si passò successivamente a visitare la chiesa annessa ai convento dei riformati di San Francesco a sinistra dell'altare maggiore, ammirarono il superbo mausoleo di marmo, con statue di stucco, in cui vennero seppelliti: don Stefano Demarinis, marchese di Genzano, sua figlia Costanza ed una piccolissima figlia di costei portante lo stesso nome materno, eretto il ventisei aprile dell'anno milleseicentoquarantuno.

    In ultimo si visitò la chiesa di Maria SS. delle Grazie, ampia e ricca di aria e di luce. A sinistra dell'unica porta allora esistente, notarono una graziosa acqua­santiera di pietra a due pezzi del milleseicentonovantatre.    

    In fondo, sulla parete del piatto abside centrale, nel mezzo di un finto mantello araldico sormontato da una corona, in una nicchia sette volte vetrata e sorretta da quattro angeli, ammirarono l'effige di Maria SS. delle Grazie, un bel quadro bizantino in cui la Vergine, a mezzo busto, ed il celeste Infante, sono dipinti sopra una pietra levigata, in modo veramente artistico.

    Lessero, su di una pergamena esposta nel tempio, che detta pittura si rinvenne il venticinque marzo dell'anno milleseicentoventuno presso la fontana di Capo d'Acqua, sulla via mulattiera che mena a Banzi. Clotilde salì su di una scala a pioli per osservare da vicino la pittura, il sereno sguardo della Madonnina, dagli occhioni profondi e dolci, le arrecò grande sollievo.

    Appoggiò la fronte alla dorata cornice del quadro e pregò per la sua anima sulla via della perdizione.                

    All'uscita dalla chiesa, gli ospiti si accomiatarono dalle autorità per far ritorno alla casa marchesale, la contessina, turbata dall'assillante ricordo della tetra profezia, si appoggiò al braccio della zia e, frettolosamente, si mise in cammino senza nemmeno notare che i giovani innamorati, incuranti di tutti e di tutto, si erano allontanati da tempo.