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Il Romanzo di Monteserico, SOTTO L'ARCO DI EROS di Ettore Lorito

 

Tentazione

 

    Nella camera assegnatagli sedeva il conte Rodolfo presso la fiorita veranda e non si decideva di andare a letto, nonostante l'ora tarda.

    La sua mente seguiva i sogni che il suo animo innamorato si compiaceva creare belli e puri, come bello e puro era l'amore che lo legava alla bionda marchesina, ed era tanto assorto, nell'estasi delle dorate visioni, che non sentì aprire l'uscio e tanto meno vide entrare la sorella.

    - Tu qui?... Quando sei. entrata? Dio! come sei pallida!

    - Grazie, fratello, di essere venuto alla mia festa che è, per me, il canto del cigno, sì, sono pallida perché seriamente ammalata, sono molto infelice e vorrei morire.

    - Ma, Clotilde, che cosa dici?

- La pura verità, ascoltami e vedrai, la lotta che combatto tutti i giorni contro l'infame mio destino, ha esaurito le mie forze ed ora non ne posso più. Non riesco nemmeno a soffrire in silenzio, il male è nel sangue ed è più potente della mia volontà e mi strazia il cuore.

    Così dicendo, si abbandonò sul petto del fratello e si mise a piangere silenziosamente.

    - Coraggio, sorella, dimmi la natura del tuo male e ti aiuterò a combatterlo e a vincerlo.

    - No, io sono dannata ho vergogna di me stessa, una fiamma impura mi brucia tutta...   

    - Una fiamma impura nel tuo animo?... non è possibile, calmati e te ne convincerai.

    - Purtroppo... una morbosa passione mi rode l'anima ed il cervello... ti amo pazzamente, ecco il mio male, solo a te è rivolto il mio pensiero e, non avrò pace, sino a che non sarai solo mio e tutto mio!

    Non pensare che il mio amore sia pura concupiscenza, cioè privo di idealità, e, tanto meno, che sia l'amore platonico che fa solo vibrare due cuori, il mio è un amore completo, puro prodotto di amore ideale confortato dall'impulso dei sensi.

    Amore maturato da anni, quel amore che, a volte, innalza sino al più alto dei cieli, a volte ti precipita, come demone tentatore, sulla terra generando gioie, dolori e, spesso, delitti! Rodolfo, sei il mio ganimede!

    Prima che il fratello si rendesse conto di quanto stava per avvenire, furiosamente l'abbraccia e lo bacia sulla bocca, sugli occhi, sui capelli, sulle mani.

    Rodolfo si alzò di scatto, umiliato e stordito, si difese, alla meglio, da quella raffica inaspettata e scappò via inorridito.

    Due giorni dopo, il marchese ricevette la seguente lettera:

    Caro signor cognato,

    Chiedo scuse per essere partito senza ossequiare nessuno, un corriero, spedito da Monteserico, mi informò che la signora contessa zia stava male e mi desiderava, dovetti lasciare Trani, durante la notte, quando tutti erano a letto, e mi trovai nella impossibilità di poter fare il mio dovere.

    Prego assicurare tutti che ogni pericolo è scomparso tanto, che io mi metterò in viaggio, per Napoli, oggi stesso.

Cordialmente saluto ed abbraccio

 Rodolfo