Capitolo precedente

Pagina principale

Scrittori e poeti 

Indice

Capitolo successivo

Ti trovi nella pagina  del sito di Genzano di Lucania

Il Romanzo di Monteserico, SOTTO L'ARCO DI EROS di Ettore Lorito

 

Riscatto

 

    Da qualche tempo, era giunta la nuova, a tutti i comitati clandestini dei patrioti avversi al governo borbonico e fautori dell'unificazione dell'Italia, che il nobile repubblicano, Ettore Carafa, era riuscito a fuggire da Castel Sant'Elmo e stava organizzando, in Milano, e a proprie spese, una legione di volontari per liberare il Regno delle due Sicilie dalla tirannide borbonica.

    Il conte Rodolfo Xxxx, sistemate, alla men peggio, le sue cose, si presentò al giovane capo ed ottenne di essere arruolato sotto il nome di « Gabriello Gabrielli ».

    Per qualche tempo, assorto nei preparativi della imminente campagna, non ebbe modo di pensare alla tempesta che si era abbattuta sulla sua famiglia dalla quale, per il fatto che nessuno conosceva il suo recapito, non poteva ricevere notizie di sorta, e ne soffriva, ma quando ebbe l'ordine di tenersi pronto per partire, si senti come se gli strappassero il cuore.

    Desiderava di baciare la zia, per l'ultima volta, ma come giustificare la sua fuga dal castello ed il lungo silenzio? E con la figura della buona vecchia, la sua mente rievocava tutta la vita passata al castello di Monteserico e la catastrofe imprevedibile.

    Nella fosca ed ultima scena del quadro, con lo splendore del sole, gli appariva la bionda chioma di Elena, povera fanciulla abbandonata senza una parola di addio! Spinto dal rimorso, le scrisse:

    Gentile e buona marchesina Elena, impegni sacri, sottoscritti prima di conoscerla ed amarla, mi chiamano al dovere, non ho avuto mai il coraggio di parlare di ciò e, tanto meno, di venire ad ossequiarla prima di partire.

    Mi perdoni e sia certa che cadrò, per la redenzione della nostra Patria, da eroe, col nome suo sulle labbra e con l'immagine della zia nel cuore, prenda, se può, il mio posto nel castello di Monteserico e preghi per l'anima del conte Rodolfo.

    Spedita la lettera, andò alla caserma ove trovò l'ordine di raggiungere immediatamente Napoli per prendere contatto con i comitati insurrezionali della zona.

    Giunto in quella città, si recò ad ossequiare la principessa di Santacroce, unica persona che conosceva il suo vero nume, parte dei segreti di famiglia e che lo aveva presentato e raccomandato al Carafa.

    La nobildonna lo baciò e benedisse, come avrebbe fatto col proprio figlio, e gli augurò, di trovare sui campi di battaglia, quella pace che gli era stata negata in famiglia.

    Non mancò di raccomandargli di essere prudente, per evitare quello che era successo al di lei fratello caduto, per imprudenza, lottando contro le orde del barone Mach, generale del re Ferdinando.

    Ben presto, la legione partenopea del Carafa, ricevette l'ordine di partire per le Puglie al fine di sedare le ribellioni contro la giovane repubblica in quella Regione Il taciturno capo, affidò al Gabrielli gli incarichi di fiducia più delicati in quei luoghi al nostro legionario ben noti, e che stavano per diventare teatro delle più feroci lotte e dei più neri tradimenti.

    Gabriellì adempiva, scrupolosamente. a tutti i doveri impostigli dal suo nuovo stato col cuore gonfio di emozioni, ma con animo virile Anelava di riscattare la sua colpa con una morte gloriosa e, perciò, preferiva le imprese più rischiose.

    Giunse, intanto, la notizia che erano per sbarcare nella Puglia, travagliata ed assetata, turchi e russi invitati dalle varie e discordi sette dei patrioti, che speravano di scacciare i borbonici a mezzo dei francesi, questi con l'aiuto dei turchi, i turchi a mezzo degli inglesi, per poi liberare la patria anche dagli inglesi.

    Tristi calcoli che resero la nostra Italia preda degli stranieri e prolungarono, di non poco, la nostra servitù.

    Il Carafa provvide alla difesa e a domare la resistenza dei preti, sempre ligi al governo borbonico, in poco tempo, le Puglie obbedirono al severo capo un po' per lo splendore del nome che portava, un po' per la vita austera che menava, pel suo coraggio, per le sue immense ricchezze messe a disposizione dell'impresa, ma specialmente, per timore della sua giusta ira, così, il Carafa, poté volare di vittoria in vittoria e tenere a bada le feroci orde armate del cardinale Buffo e del Mammone, Ma il comando generale francese, che disponeva e coordinava le imprese dei nostri patrioti, secondo i propri interessi, ingelosito da tante vittorie e temendo la signoria del Carafa, mandò questi negli Abruzzi, col pretesto che le Puglie erano state pacificate.

    Tra i pochi volontari rimasti a presidiare la regione fu prescelto il legionario Gabrielli, con le funzioni di capo.

    Il presidio formato in prevalenza di nobili di studenti, di professionisti, svolse opera veramente meritoria in paesi ignoranti, atterriti dagli eccidi operati dai Ruffo tra i castellani testardi ed il clero ostile e subdolo.

Gabrielli, con gli altri militi, venne mandato a Bisceglie per rinforzare quella guarnigione, ma era appena giunto quando arrivò un corriere per annunziare che i turchi tentavano di sbarcare a Molfetta, ove la difesa era molto debole, ed occorrevano rinforzi, Quando i legionari guidati dal Gabrielli giunsero, trovarono la cittadina in balia dei nemici.

    Turchi ed albanesi, sbarcati, di sorpresa, con delle scialuppe, saccheggiavano l'abitato, i nemici, stretti tra i legionari e gli animosi cittadini che erano accorsi in aiuto del presidio, cercarono di guadagnare le imbarcazioni e si affollarono nella breve strada costiera, ove vennero massacrati. Intanto dalle navi si sparava, senza tregua, nella vana speranza di proteggere la ritirata dei soldati sbarcati.

In tale sanguinoso scontro perdettero la vita molti legionari e non pochi cittadini, tra quelli accorsi coraggiosamente in aiuto del presidio.

    Gabrielli combatteva, in prima fila, correva ove maggiore era il pericolo con superba audacia, attardandosi nella spietata caccia contro i nemici annidati tra gli angusti vicoli del rione « Porto ».

    Bello come un angelo, maestoso come un tiranno... cadde mortalmente ferito, con la gola squarciata da un colpo di scimitarra, insidiosamente vibratogli dall'interno di una bettola, mentre soccorreva una giovanetta seviziata da quei bruti.

    Intanto, le navi nemiche prendevano il largo e gli ultimi invasori venivano sgozzati!