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 GENZANO DI BASILICATA - Cronografia - di Ettore Lorito

PARTE TERZA

CAPITOLO V

LA CHIESA DELLA SS. ANNUNZIATA E L'ANNESSO MONASTERO

    Il gioiello di Genzano è l'antica ed abbandonata Chiesa dell'Annunziata annessa al Convento di S. Chiara, fondato da Aquilina Sancia sui ruderi di un maniero alla fine del secolo XII, con privilegio di nobiltà.

    II suggestivo Tempio ascoltò le mesti voci delle floride dame Spagnuole, delle poetiche donzelle della Provenza,(1) delle vivaci e gentili signorine di Genzano e della Regione che, sotto il velo delle Clarisse, consumarono la loro bellezza e la vita nella contemplazione e nella preghiera.

    La clausura accolse anche l'ultimo respiro della nobile fondatrice quivi rinchiusasi con i suoi ricchi forzieri colmi di oro, di tari, di gemme, di veste di toghe, cappe e quivi spentasi nella pace del Signore il 1336(2).

    La salma vestita dell'umile saio di Clarissa e ravvolta in un drappo dorato, venne trasportata a Barletta e tumulata nella scomparsa Chiesa di Santa Chiara in conformità delle disposizioni testamentarie.

    La nostra Chiesa dell'Annunziata, che preesisteva alla fondazione del Convento forse quale oratorio del castello ha un bel portale del rinascimento ed un festoso pergamo di legno dorato a sfondi rossi, con lo stemma dei Sancia: un leone incoronato rampante presso un castello merlato e finestrato che ha, tra gli artigli delle zampe, tre spighe d'oro, in campo azzurro con tre stelle con fascia orlata ed inclinata, che vuole indicare la forza, la fertilità del feudo, la fede ghibellina e l'eccezionale nobiltà della casa del principe.

    Detto stemma ultimamente divenne quello di Genzano dato che non ebbe più esecuzione il deliberato del Consiglio Comunale del 27-11-1869 col quale si sceglieva, come stemma del Comune, l'immagine della dea Cerere.

    Sui due altari barocchi collocati ai lati dell'altare maggiore, in ricche comici dorate, splendono due grandi quadri rappresentanti la S. Famiglia e l'Annunciazione di ignoti autori ma assai apprezzati.

    Sugli altri due altari, in nicchie vetrate, vi sono le statue di S. Chiara e di S. Francesco d'Assisi, di scarso valore artistico.

    Molte doviziose cornici giacciono per terra abbandonate e prive dei quadri sottratti o lacerati giacché dal giugno del 1905, anno in cui le ultime decrepite clarisse: donna Chiara Maria Sciaraffia, abbadessa, da Oppido: donna Maria Giuseppa Fanelli, da Laurenzano; donna Maria Diletta Cardilli, da Spinazzola; donna Luigia Maria Mennuni, da Genzano e la conversa Chiara Maria Coccia, anche da Genzano, abbandonarono la clausura, tutto rimase in abbandono.

    La cappella è illuminata da sei finestre che s'intonano, nella forma, alle piccole grate disposte ai quattro angoli della chiesa, dietro alle quali, due per parte, le nobili serve del Signore ascoltavano le funzioni religiose.

    Le due grandi grate messe dirimpetto, l'una sulla porta d'ingresso, l'altra dietro l'altare maggiore, fanno pensare, per la loro forma artistica, più alle fiorite verande del quattrocento che al simbolo della volontaria segregazione dal mondo.

    L'annesso chiostro fu tra i più rinomati del Reame di Napoli, ebbe vita rigogliosa e lunga ed educò alla vita civile le più illustre dame del tempo.

    Aveva una rendita netta annua di ducati 2.200 oltre le rendite dei beni personali delle suore, il danaro che si ricavava dalla vendita dei dolci squisiti e delle paste alimentari «di straordinaria bianchezza e bontà», il danaro ricavato dalla vendita delle trine, dei merletti, degli arazzi preziosi nel Convento confezionati.

    Tanto bella e comoda era la vita che le Clarisse menavano che (in base al decreto del 17-9-1861), una sola delle religiose volle uscire dalla comunità, tale Passeri Marianna.

    Però dopo poco tempo cercò di rientrare nella clausura ma la badessa del tempo, donna Maria Teresa Di Pierro, e le altre suore si opposero energicamente in forza della circolare del 15-11-1862 n. 550.

    Nel mese di giugno del 1905, le ultime decrepite Clarisse volontariamente abbandonarono la Clausura ed i locali del Convento rimasero in abbandono.

    Dal 1912 al 1915 furono sede dell'allora nascente Asilo Infantile affidato alle suore del Sacro Costato; dal 1916 al 1918 ospitarono numerosi prigionieri Austriaci; dal 1928 al 1931 furono sede del gran concerto musicale fondato dallo scrivente.

    Ora i locali della clausura sono in parte crollati, in parte adibiti a pubblico macello, in parte a ricovero per i senza tetto.

    Le intemperie e l'incuria delle amministrazioni comunali, a poco a poco, fanno precipitare nel Vallone Michele l'edificio che fu l'orgoglio spirituale della Signora di Monte Serico e di Genzano.

    Qualche volta accade che la mano pietosa di un fedele vada ad aprire, spolverare, riassettare la Chiesetta(3) e riesca a raccogliere le poche lire necessarie per far celebrare la S. Messa nel giomo della SS. Annunziata o in qualche altra festività: allora si spande pel paese, e per la sottostante vallata, l'armoniosa ed insolita voce dei sacri bronzi da tempo condannati al silenzio.

    Quel suono, a guisa di delicati accordi in tono minore, pare che non scenda dalla semi-diruta torretta ottagonale, ma venga da molto lontano, dalle misteriose regioni dell'aldilà e dispone le anime alla meditazione ed alla preghiera.

    I vecchi devotamente si scoprono, mentre lampi di ricordi lontani si accendono negli occhi stanchi.

    Quale arcana forza si sprigiona dalla preziosa campana che le mani esperte d'un ignoto artista costruirono nell'anno di grazie 1443, e da quella che il melfitano Troiano fuse, per incarico della badessa Avinia nel 1556? Mistero! Forse la generosa ed eletta anima della fondatrice della Clausura e della restaurazione del Tempio veglia ancora su quella che fu la sua più bella opera terrena e manda, a mezzo dei sacri bronzi, il suo gentile saluto alla prediletta Genzano.

    Ora, unico ricordo dell'antico splendore della Clausura e del Tempio, rimane una piccola targa marmorea murata all'angolo della Cappella, con l'indicazione: Larghetto «Aquilina Sancia».

IL TESTAMENTO

    Aquilina Sancia, stanca delta vita di Corte, delusa in amore, addolorata della perdita della figlia Antonella e della morte del suo terzo marito, decise di ritirarsi nei suoi feudi di Monte Serico e di Genzano.

    Qui volle fondare un «monistero di donne velate» presso la Chiesa di Maria SS. Annunziata annessa al diruto maniero esistente all'estremo limite della collina su cui è fondato il paese.

    In tal luogo di raccoglimento e di preghiere, mentre era ancora in ottime condizioni di salute, volle dettare il suo testamento e confermare, con impugnabile documento, le donazioni (4) elargite all'atto della fondazione della Clausura.

    Ma il governo Aragonese si appropriò della ricca eredità e solo dopo la sua caduta, il Monastero di Genzano potè rientrare in possesso dei beni ereditati.

    Così venne fuori il Testamento di Aquilina Sancia del 14 aprile 1327, riportato in appendice, redatto in Genzano da Matteo di Mastrobartolo, pubblico notaio di Basilicata.

    Detto atto porta, tra gli altri, il riverito segno di croce dell'analfabeta Giudice della terra di Genzano: «Andrea Lapso».

ATTO DI POSSESSO

    Il 4 settembre del 1501, a richiesta della badessa del Monastero di Genzano, donna Creusa Palaganca da Trani, a mezzo dei suoi procuratori fra Tommaso Materano e Pasquale Valente, detto il Pantano, si procedette alla presa di possesso dei beni spettanti al Monastero in conseguenza del sopra indicato testamento che venne esibito in originale.

    L'atto di possesso, da noi trascritto in appendice, venne compilato dal notaio di Spinazzola «Angelo Bruno» e si onora di portare il segno di croce del magnifico Paladino Reale, giudice di Genzano, che  "scribere nescentis quia idiota est".

COMUNITA DI S. CHIARA NEL 1786

1. Donna Chiara Maria Falcinelli, Badessa; 2. Mara Emanuele Cilente, Suora Vicaria; 3. Angela Maria Gigante, Suora dispensiera; 4. Maria Rachele D'Agostino, Suora dispensiera; 5. Maria Serafina D'Agostino, Suora depositaria; 6. Maria Diodata Bonifacio, Suora; 7. Maria Paola Bochicchio. Suora; 8. Maria Saveria Spada, Suora; 9. Maria Rosa Dell'Agli, Suora; 10. Maria Maddalena Gigante, Suora; 11.Maria Giuseppa Dell'Agli, Suora; 12. Maria Agnese Cagliardi, Suora; 13, Maria Crucifisso Lancellotti, Suora; 14. Maria Vincenza Spada, Suora; 15. Maria Carmela Lancellotti, Suora; 16. Maria Nicola Atella, Suora; 17. Maria Margherita Bonifacio, Suora; 18. Maria Luigia Falcinelli, Suora; 19. Maria Candida Laviano, Suora; 20. Maria Giovanna Vignola, Suora; 21. Maria Arcangela Dell'Agli, Suora; 22. Maria Cecilia Gagliardi, Suora; 23. Maria Eugenia Morani, Suora; 24. Maria Michela Grimaldi, Suora; 25. Maria Teresa D'Agostino, Suora; 26. Maria Gaetana Maselli, Suora.

EDUCANDE

1. Donn'Anna Maria Dell'Agli; 2. Donna Michelina Mirenza; 3. Donna Rachele Spada; 4. Donna Vincenza Francavilla.

SERVE INTERNE

1. Beatrice Carcuro; 2. Domenica Nardiello: 3. Ilaria Nardiello; 4. Antonia Mirabella.

SERVE ESTERNE

1. Costanza, con salario annuo di ducati uno e settanta, oltre un abito e un paio di scarpe ogni tre anni; 2. Angela Caterina, alle medesime condizioni.         

SAGRISTANO DELLA CHIESA

Reverendo Don Canio Saverio Dipierro, con paga annua di ducati quattro.

Medico della comunità: Mangieri, senza paga fissa.

Sotto chirurgo: Francesco di Nozza, con paga annua di ducati tre e cinquanta.

Reverendo procuratore: Don Pasquale Albani, con paga annua di durati quarantuno.

Mulattiere: Giuseppe Sarrocco, con salario di ducati trenta.

Cantiniere: Antonio Abate, con salario annuo di ducati sei e cinquanta.

Cantiniera: Agnesa Stigliano, con salario annuo di ducati quattro e cinquanta.

Maniscalco: Carlo Antonio Patarino, con estaglio annuo di ducati tre.

Dipendenti senza salario fisso:

Savino Franzino, ferraro; Teodoro Malizia, bastaio; Pasquale Grasso e Teodoro Sciota, muratori; Nicola Lanubile, falegname; Michele Parisi, sarto; Domenico Nozza, mugnaio; Giulio Battaglino (Alias Piccione), contadino; Vito Potenza (Alias Mezza Calzetta), contadino.

IL TESORETTO DELLE SUORE

    Durante il periodo del brigantaggio due Sacerdoti, uno di Genzano l'altro di Avigliano, un monaco ed un prete, organizzarono una truffa in danno delle ricche Suore di S. Chiara.

     Approfittando del tentativo di furto compiuto nella notte tra il 26 e 27 giugno del 1867 in danno del monastero (5), persuasero l'Abbadessa che non era prudente tenere nel Monastero il tesoretto lasciato dalla fondatrice e aumentato durante molti anni di economia, e consigliarono di depositare i gioielli ed il danaro, quasi tutto in moneta aurea, presso persona di fiducia, e per maggiore garanzia, metà in casa di un amico, metà in casa di un altro.

    Naturalmente ciò doveva avvenire all' insaputa di tutti altrimenti i ladri avrebbero rivolto la loro attenzione verso i depositari.

    Fu così che la sera del 28 giugno del 1867, le due serve esterne del Monastero portarono nelle case del confessore e del Rettore della Clausura due ramiere apparentemente piene di cenere ma in cui vi erano tutte le ricchezze e le economie delle clarisse.

    Nessuno seppe mai nulla del fatto e le stesse donne che effettuarono il trasporto erano convinte di aver portato della cenere per il bucato in casa dei messeri, come in qualche altra occasione era avvenuto.

    Trascorsi diversi anni, quando il nuovo governo di Vittorio Emanuele II era riuscito a rendere sicura e tranquilla la vita e gli ultimi briganti erano scomparsi, la madre Abbadessa fece capire al tanto caritatevole Monaco e al degno suo socio che ormai potevano rimandare il tesoretto al Convento giacché ogni pericolo era scomparso ».

    I Sacerdoti dichiararono di non aver ricevuto mai nulla e che le ramiere a loro mandate la sera seguente a quella del tentato furto contenevano cenere pel bucato e nulla più.

    A nulla valsero le proteste delle derubate che dovettero anche tacere perché non venissero aggiunte le beffe al danno specialmente perché le due serve, in perfetta buona fede, affermavano di aver portato, in quella sera di giugno in casa dei Sacerdoti della cenere e di aver lasciato le ramiere una nel sottoscala esterno della cucina del Monastero di S. Francesco, l'altra sul pianerottolo esterno della stalletta dell'abitazione del prete.

    D'altra parte le suore, per motivo di prudenza, avevano sempre dichiarato alle autorità di non possedere denaro e tanto meno oggetti preziosi all'infuori di quelli necessari per il Culto.

    Si cercò di mantenere segreto l'accaduto ma il fatto ugualmente trapelò in paese sino al punto che fu oggetto di un salace sonetto dialettale. Il popolo si tramanda di padre in figlio, a eterna vergogna i nomi dei due indegni Ministri di Dio.

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 (1) R. Brettagna.

(2) Lapide un tempo esistente nella scomparsa chiesa di S. Chiara di Barletta.

(3) Attualmente la Chiesa è stata regolarmente riaperta al culto ma, per l'assoluta mancanza di sacerdoti, è come se fosse ancora chiusa.

(4) Dei ricchi doni, dei preziosi arredi sacri lasciati da Aquilina Sancia ed elencati nel testamento, non rimangono che tre calici d'argento e la croce astata anche di argento.

(5) Rapporto del Sindaco al Prefetto n. 19 del 27-6.1867.