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 GENZANO DI BASILICATA- Cronografia - di Ettore Lorito

PARTE QUARTA

CAPITOLO VIII

CONCENTRAMENTO DELLE BANDE DEI BRIGANTI NELL'AGRO DI GENZANO

    Uno degli anni più movimentati per la nostra milizia nella lotta contro i briganti nel territorio di Genzano fu il 1864.

    Contemporaneamente si concentrarono nella nostra zona dieci bande approfittando della circostanza che il vittorioso reparto della Guardia Nazionale a Cavallo, cornandato dal Mennuni, regolarmente mobilitato, si trovava lontano da Genzano.

    La preoccupazione dell'amministrazione comunale fu tale che si giunse a far barricare il paese per evitare quello che si era lamentato nei danni di Venosa.

    La banda di: 1°) Crocco, ridotta a sole 50 persone a cavallo, ma formata di uomini disperatamente coraggiosi, ed organizzati militarmente(1);  2°) di Ninco Nanco, con uomini 30; 3°) di Ingiongiolo, con uomini 10; 4°) del pietragallese Mennuti, con 9 persone; 5°) e 6°) dei spinazzolesi Pellettieri e Malfino con 8 uomini ciascuna; 7°) e 8°) dei palazzesi Rubino e Crepezze, composte rispettivamente di 12 e di 6 individui; 9°) e 10°) di Patato e di Tortora, di un numero impreciso di componenti (2), a volte operavano separatamente, a volte agivano di conserva ed allora riusciva difficile opporre una valida difesa.

    Tra gli scontri più importanti si ricorda quello del di 8-2-1864.

    Riportiamo al riguardo il rapporto fatto dal Sindaco al Prefetto di Potenza.

«Genzano, li 8-2-1864.        Protocollo N. 69.

    Al Prefetto ed al Maggiore Generale Dalegna - Potenza Oggetto: Conflitto con la banda Ninco Nanco ed i Reali Carabinieri.

    Con gravissimo dolore dell'animo mio ò ad annunziare alla S. V. un tristissimo caso occorso ieri ai Carabinieri Reali della Stazione di Acerenza per un improvviso scontro avvenuto con la banda dì Ninco Nanco.

    Mentre nel giorno predetto il comandante della menzionata Stazione, Furlone Michele, con i suoi dipendenti Carabinieri: Rizzi Giambattista, Favuta Antonio, Lucarino Domenico, Bernardi Domenico, da Genzano restituivasi alla propria residenza, dopo aver adempito ad un pubblico servizio, approssimandosi al torrente Ginestrello, che forma confine tra questa difesa bosco Ralle ed il tenimento di Acerenza, si avvide che da quest'ultima parte, discendeva un numero di uomini armati a cavallo, riconosciuti dappoi del numero di 26 comandati dal famigerato brigante Ninco Nanco.

    Sul principio da un individuo della detta arma dei Carabinieri Reali, dubitavansi che fosse un drappello di colonna mobile ma il dubbio cessava dal precipitoso avvicinarsi della banda, la quale a mezzo tiro sparava una scarica simultanea.

    Attaccati così vivamente ed all'improvviso la ripetuta amata retrocedette come in militare ritirata difendendosi però egregemente.

    Allora i masnadieri passati il detto torrente, violentemente caricavano e raggiungendo i 5 prodi, sempre intenti a pugnare con valore, con nuova esplosione delle loro armi facevano quasi simultaneamente, vittime il benemerito brigadiere Furlone ed il carabiniere Favata, dopo che i medesimi insieme agli altri intrepidi loro compagni avevano sostenuto un vivo e lungo fuoco, senza mai cedere alle intimazioni della banda che rimaneva attonita ed esitante.

    Ben vero vedendo come si è detto, ottenuto il frutto di due vittime, animavasi ad un nuovo assalto contro i superstiti, che non cessarono di battersi da leoni.

    Una nuova vittima cadde tra i carabinieri in persona di Rizzi ed in quel momento stanandosi un buon numero di briganti, cercava mettere in mezzo gli altri due, Lucarini e Bernardi, che continuavano, dopo la morte dei loro compagni a difendersi valorosamente, sempre in ritirata, perché sopraffatti dal numero dei nemici, e con la intenzione di guadagnare una posizione elevata e più prossima a questo abitato, sperando così di aver soccorso, ovvero di vendere a caro prezzo la loro vita; ma una nuova manovra degli assassini mirava a circuire e distruggere i due valorosi dei quali il Lucarini, senza punto smarrinsi prendendo di mira quel brigante ch'era più prossimo ed ostinato all'assalto cagionavagli mortale ferita, come si giudicò della sua caduta e dal pronto accorrervi di molti compagni, che caricatolo anziché ripostolo in sella, altro saltò in groppa per sostenerlo, rimanendo a discrezione il proprio cavallo.

    Fortuna volle che profittando di questo smarrimento momentaneo dei masnadieri, i carabinieri Lucarini e Bernardi, celeramente indietreggiarono per mettersi in una posizione più favorevole; nel ripassare il vallone, il Bernardi cadeva con la propria carabina la quale rimaneva fuori di uso per essersi sensibilmente infangato il cilindro.

    I briganti incalzavano ma i due prodi non perdevano coraggio. Raggiunsero un mucchio di canne ed ivi si trincerarono.

    Assaltati di nuovo nel fragile baluardo, il Lucarini con valore immenso di bile fece funzionare la unica carabine che rimaneva esaurendo le corrispondenti munizioni sue proprie e quelle del compagno Bemardi il quale col suo revolveri battevasi intrepidamente.

    Nessuno scampo! Un piccolo pastore, temendo della vita perché guardato dai briganti, si rifiutò di portare la notizia a questo paese nonostante le generose offerte.

    Intanto giunse qui l'avviso per mezzo dell'egregio Comandante di questa stazione, Todeschini Carlo, che trovavasi in Banzi ove veniva informato da un vaticale ivi giunto da un luogo vicino ai conflitto; questo incominciava alle ore due pomeridiane e si protrasse fino a circa le cinque.

    I prodi Lucarini e Bernardi, ridotti all'estremo, non vollero arrendersi alle repliche intimazioni della banda, ed ebbero tale, coraggio ed abilità da permettere che fossero giunti sul luogo i primi uomini da me spediti a cavallo, e questi poi seguiti da un numero di Guardie Nazionali a piedi, oltre della forza partita dal prossimo villaggio di Banzi, guidata dal predetto signor Todeschini, della quale faceva parte il Capitano della Guardia Nazionale.

    I briganti, avvisati da un loro compagno del sopraggiungere del socccorso, precipitosamente mettendosi a cavallo, retrocedettero prendendo la volta del Finocchiaro, tenimento di Acerenza, inseguiti tempre da queste forze fino alle ore sette e mezzo.

    Nel deplorare il triste caso e la perdita di tre carabinieri reali, da gettare in gravissimo duolo una intera popolazione, non posso non rendere omaggio allo straordinario valore ed alla intrepidezza dei superstiti Bernardini e Lucarini, dei quali l'ultimo, come di sopra ho avuto l'onore di accennare alla S. V., cagionava la grave ferita, se non la morte, ad un brigante, e la perdita di un cavallo ed una giumenta alla banda.

    Interprete fedele delle giuste impressioni provate da questo Municipio della autenticità de fatti straordinari che hanno comprovato l'eroico valore de Carabinieri soprascritta salvi per vero miracolo della Provvidenza, oso rivolgermi alla S. V. perché faccia valere la di lei autorità onde ottenere, a pro dei carabinieri anzidetti, la giusta rimunerazione dovuta al valore che meritarono tanta ammirazione da questa popolazione.

    Metto fine a questo doloroso rapporto manifestando alla S. V. che le spoglie delle tre vittime sono state, con pompa, accompagnate da gran numero di militi nazionali, notabili del paese, e municipio, nonché dei loro fratelli d'arme, trasportate in questa Chiesa dei Padri Riformati, ove si è proceduto stamane alla solennizzazione di una messa funebre, per aver luogo domani l' esequie disposta in modo degno da onorare la cara memoria dei tre valorosi Soldati Italiani, e ciò dietro concerto col su lodato Brigadiere Tedeschini.

    Da ultimo sottometto alla S. V. il mio desiderio e quello di questo Municipio, che cioè sarebbe di vendere i due animali presi ai briganti per convertirne il prodotto nella forma di un tumulo che comprenda le spoglie preziose di quei tre che perirono per la Patria.

    Su tale argomento si degnerà la S. V. comunicarmi il suo avviso.

                Il sindaco

               F.to: Polini».

    Segue il rapporto N. 72 in data 9-2-1864 con cui il Sindaco fa una dettagliata relazione sulle esequie solennissime celebrate in onore dei tre carabinieri reali caduti.

    Dal su nominato rapporto apprendiamo: che l'orazione funebre venne letta dal signor don Teodoro Denozza; che le spese dei funerali furono sostenute dalla popolazione; che le confraternite, il clero, i padri riformati rinunziarono ai loro compensi; che le salme vennero trasportate a spalla delle autorità cittadine e che, per unanime volere, la somma del Comando Militare messa a disposizione per le onoranze funebri si chiese che venisse distribuita alle famiglie delle vittime.

    Segue al riguardo del riferito conflitto un terzo rapporto del giorno 11-2-1864, N. 73 che riportiamo integralmente:

    « ...Nel giorno dieci corrente, facendo appello a tutti quanti i cittadini onesti che potevansi offrire un cavallo, mi misi alla loro testa, in unione di questo Comandante la stazione dei reali carabinieri signor Todeschini, operando una perlustrazione pè luoghi dove potevasi aver traccia dell'infame masnada, e registrare quelle notizie che avessero potuto avervi relazione.

    Mi spinsi fino al tenimento di Acerenza, ove interrogai del conflitto e delle mosse della banda comandata dal famigerato Nìnco Nanco, e dell'attitudine serbata dalla Guardia Nazionale di Acerenza che in quel giorno trovavasi a breve distanza dal luogo del sanguinoso dramma.

    Potei raccogliere dai foresi al servizio del Signor Nicola Panni di Acerenza appellati: Pasquale Calitri, giumentaio; Gaetano e Canio Mattia, lavoratori; Pasquale Saluzzi; nonchè Antonio Travascia, custode di pecore al servizio del signor Lamiranda del detto Comune, che nel giorno di Domenica prossima scorsa, mentre i briganti attaccavano i cinque reali carabinieri, la detta Guardia Nazionale al numero di 20, fra cui sei a cavallo, aveva preso posizione su di una collinetta a distanza di un chilometro dal luogo dell'attacco e di rimpetto, dopo di aver avvertito i colpi che i briganti esplosero contro l'arma benemerita.

    Tra le guardie nazionali trovavansi i signori Glinni Paolo di Canio, ed Amatiello Vincenzo fu Francesco, i, quali impazienti di attaccare alle spalle la masnada, incitavano i compagni a seguirli sollecitamente per accorrere in aiuto degli aggrediti.

    Ma prevalendo nelle guardie la viltà al coraggio, anziché corrispondere al loro dovere ed ai generosi incitamenti dei due commilitoni, retrocedevano passando come timidi spettatori su di altra posizione più distante, appellata Serracimino, come per ripararsi da un attacco.

    Questa condotta inqualificabile fa raccapricciare. Quando le guardie videro svanito anche il temuto pericolo, che la loro vigliaccheria suggeriva, retrocedettero ancora fuggendo nelle scoscese che dalle crepe della difesa Ralle, luogo della strage, ove apparivano le numerose guardie nazionali affannosamente accorse da Banzi col Brigadiere Todeschini, e di Genzano sotto il mio comando.

    Incredibilia sed vera! E' un fatto che oltre a generare disservizio, deve anzi richiamare le più sollecite investigazioni della giustizia punitrice.

    Se le guardie di Acerenza avessero non altro operato un simulacro di attacco alle spalle della vile masnada, il luttuoso fatto non sarebbe avvenuto, mentre se per contro avessero avvertita tutta l'importanza de' loro doveri, con operare un vigoroso attacco contro i briganti, colti tra due fuochi in principio, quelli sarebbero rimasti completamente distrutti, quando si riflette all'opportuno arrivo delle guardie di Genzano e di Banzi, e di questi reali carabinieri.

    Ogni via di sfuggita sarebbe stata chiusa, ed avremmo a registrare un fatto che avrebbe onorato coloro che avessero preso parte, rendendo un supremo servizio alla Patria; ma così non vollero le Guardie Nazionali di Acerenza.

    Onde la S. V. possa formarsene una chiara idea del come le vigliacche guardie nazionali di Acerenza per coincidenza furono testimoni impassibili dell'infausto avvenimento, sento l'obbligo di dichiarare alla S. V. che in quel giorno unito alla stazione dei reali carabinieri di Acerenza, da Genzano dovevano colà recarsi i parenti di quel regio Giudice e tra essi una cognata nubile.

    A renderne più sicuro il transito del bosco Ralle eransi invitati quelle guardie nazionali ad incontrare i detti signori i quali per una di quelle circostanze imprevedibili eransi astenuti dal viaggiare.

Il Sindaco:

 F.to: Polini».

    Dopo tale delittuoso avvenimento continuò con più audacia la violenza degli attacchi, i quotidiani sequestri delle persone.

Tra i sequestri destò profondo cordoglio il caso del giovane Giannone Agostino di Rocco, catturato nella propria aia nella notte tra il 28 e 29 dello stesso mese.

    Pel riscatto venne chiesta la somma di ducati quattromila; il padre non poté subito versare il danaro e del giovane non si seppe più nulla!

    Tutto ciò non scoraggiava in alcun modo la nostra Guardia Civica che ogni giorno perquisiva i luoghi più reconditi e le masserie sospette.

    Così nel nostro Monteserico, e propriamente nel vallone di Guarino, sito nel bosco di Cerreto, il 15-5-1864 vi fu un altro scontro tra la guardia nazionale, al comando del sindaco di Genzano, Polini, e la banda di Ingiongiolo.

    Venne, tra gli altri, ferito gravemente lo stesso Ingiongiolo che dovette abbandonare il cavallo ed il fucile.

    I feriti col favore della notte furono dai briganti trasportati a Tolve come si nota nel rapporto n. 115 del 1° giugno.

    In tale scontro si tolsero ai briganti: armi, munizioni, vettovaglie, 4 cavalli e una giumenta completamenti bardati.

    Nelle vicinanze vennero catturati i palmiroti : Giuseppe Maroni, mulattiere di anni 26 e Luigi Cioffi, salariato di Antonio Vaccarella, cieco da un occhio, perché da diversi giorni si aggiravano nelle vicinanze del vallone di Guarino col pretesto di raccogliere legna; interrogati intorno ai briganti affermarono di non aver visto né sentito nulla di quanto era accaduto. Furono trattenuti in carcere perchè, quanto meno, erano colpevoli di omertà.

    Altro scontro sanguinoso avvenne il 29-6 nel bosco demaniale Ralle tra la banda del famigerato Crocco, forte di 50 uomini, un reparto di Cavalleggeri Lodi, un reparto di Bersaglieri, 5 volontari della nostra Guardia Nazionale e un reparto di cavalleria Mennuni giunto da Acerenza alla notizia dello scontro.

     Il combattimento si protrasse sino a tarda sera e perirono: tre Cavalleggeri, un volontario della guardia di Genzano, il valorosissimo giovane Polini Pietro, un milite del Mennuni, tale Viggiano di Avigliano, un cavallo ed una giumenta.

    I briganti ebbero diversi morti e numerosi feriti che, secondo l'uso, durante la notte vennero portati via (Rap. n. 125 del 30-6-1864).

    Il momentaneo ritorno della cavalleria Mennuni e il concentramento di numerosi soldati a Genzano e nei paesi vicini, disorientarono, per qualche tempo, i briganti che si limitarono a rapinare i rari viandanti e i poveri agricoltori costretti a doversi recare in campagna.

    Tuttavia reparti di banditi venivano segnalati nel bosco di Banzi, a Monteserico, al Trignito, alle Ralle e nelle Murge.

    La mattina del 10 ottobre 1866 il Prefetto di Bari telegrafava al Sindaco di Genzano che «in territorio di Gravina era stata assalita dai briganti una masseria e che la banda, dopo aver rapito diversi animali ivi esistenti e catturato tale Donato Bruno di Canio, si era diretta verso il Monteserico».

    Uno squadrone di 36 militi della nostra Guardia Naz. uscì in perlustrazione per diversi giorni consecutivi finchè il 18 ottobre si scontrò con sette briganti della banda segnalata dal Prefetto di Bari: due riuscirono a fuggire, due vennero uccisi in combattimento, gli altri tre, fatti prigionieri, furono giustiziati.

    Il Bruno poté far ritorno incolume nel seno della propria famiglia; nessuna traccia degli animali rubati; evidentemente erano stati affidati all'altra parte della banda scomparsa tra le cave di tufi delle Murge.

    Per tale brillante operazione la nostra Giunta Comunale, il 13-2-1867 dichiarò degni di premio e di encomi solenni i seguenti militi: 1) Cav. Davide Mennuni, Comandante in capo; 2) Lomuto Francesco, Capitano; 3) Aniello Vincenzo, Sottotenente; 4) Laginestra Nicola, sergente furiere; 5) Claps Nicola Maria fu Gerardo, sergente; 6) Polini Michele, sergente; 7) Ferrandina Antonio, caporale; 8) Saluzzi prof. Vincenzo; 9) Marchione Michele; 10) Lomuto Gerardo; 11) Chisena Giovanni; 12) Palermo Gerardo; 13) Locoratalo Luigi; 14) Carcuro Antonio; 15) Sacerdote De Lucia Giuseppe; 16) Giordano Rocco; 17) Viggiani Giuseppe; 18) Tufanisco Gerardo; 19) Bovio Michele; 20) Mancini Giuseppe; 21) Buonfiglio Antonio; 22) Florestano Antonio; 23) Polini Nicola; 24) Polini Vincenzo; 25) Tufanisco Nicola; 26) Vignapiana Luigi; 27) Scazzariello Alfonso; 28) Manfredi Canio; 29) Grasso Nicola Maria; 30) Latilla Antonio; 31) Carbone Savino; 32) D'Eugenio Giuseppe; 33) D'Eugenio Rocco; 34) Bonifacio Giuseppe Antonio; 35) Larocca Antonio.

    Ad opera dei soprannominati militi al comando del Cav. Mennuni e del sindaco Polini si scoprì il luogo dove si teneva sequestrato il Bruno: la pagliera della taverna di Antonio Muscio di Corato, dimorante a Genzano, custodita da tale Domenico Cutinella di Andria.

    Tra gli autori del ricatto vi furono i pregiudicati: Sbarra Michele Antonio, Crepezza Giuseppe, Donato Dipierro, lavorante di legnami, tutti da Palazzo S. Gervasio. (Rapporti N. 48, 49 e 50 dei giorni 18, 19 e 22 ottobre 1866).

    Ai bravi militi della guardia nazionale venne concesso, dalla Commissione Provinciale un adeguato premio, come si legge in una lettera del Prefetto di Potenza del 5 novembre dell'anno 1866, inserita nel rapporto N. 58 del giorno 22 dello stesso mese ed anno.

    Ed a proposito di, onorificenze, rileviamo dal rapporto N. 30 che fu concessa la medaglia d'argento a Pompa Raffaele fu Rocco, per aver ammazzato il brigante Dinardo Giuseppe Antonio, da Palazzo S. Gervasio, nel bosco di Banzi, al fine di salvare il fratello Gaetano dai briganti catturato.

    Un altro scontro, incruento però, avvenne il 26 novembre 1864 alle ore due pomeridiane in contrada Paternigiosa (Monteserico) tra nove giovani cacciatori e 12 briganti della squadra Bellettieri.

    «Dopo una fucileria di un'ora e mezzo, i briganti si allontanarono indisturbati... e spogliarono, lunga la via che mena a Monteserico, tutti gli individui che ritornavano da campagna».

    Il 12-12-1865 un altro scontro si lamentò tra la banda dell'Ingiongiolo ed un reparto della Guardia Nazionale di Genzano a Cerreto in contrada Monteserico; i briganti riuscirono a fuggire verso Palmira.

    Sulla sinistra del fiume Bradano si scontrarono con alcuni soldati distaccati a Palmira che andavano in licenza scortati da altri soldati.

     Nell'attacco che ne seguì, fu ucciso uno dei soldati che andava in licenza ma fu liberato dalle mani dei briganti tale Saverio Peruzzi di Montepeloso, catturato dalla banda a scopo di ricatto. (Rapporto N. 112 del 22-12-1865).

    Per la protezione degli agricoltori e al fine di poter sradicare dalla nostra zona il brigantaggio, il governo centrale decise di istituire nel nostro territorio cinque posti fissi di militi della Guardia Nazionale e quattro di soldati.

    I posti affidati alla Guardia Nazionale furono:

1) Mattina Grande (Masseria Cardacino); 2) Mattina Piccola (Masseria Di Pierro); 3) Monteserico (Masseria Dell'Agli-Cetti); 4) Monteserico (Masseria Regina dei signori Mennuni); 5) Monteserico (Serra della Castagna, masseria Lasala).

    I posti affidati ai Granatieri: 6) Monteserico (Masseria Brunetti); 7) Monteserico (Masseria D'Errico); 8) Banzi (Panetteria); 9) Cerreto (Casone Berardi).

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(1) G. Negri. Lettera 10-4-1862 (S. Depilato: Fondi, Cose e Figure di Basilicata).

(2) Rapporti di polizia N. 67, 105. 24, 73, 99. 121, 152, 169, dell'anno 1864.