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 GENZANO DI BASILICATA- Cronografia - di Ettore Lorito

PARTE PRIMA

CAPITOLO I

IL MONTE SERICO

    La vera ricchezza e l'importanza di Genzano era ed è costituita dal vasto territorio che va sotto il nome di "Monte Serico" riportato  nel Catasto del 1811 (proveniente dalla matricola del 1807) per carra 619 e misure 4.

    L'appellativo di «Serico» dato all'ubertosa contrada, era giustificato dalle qualità bellissime delle erbe morbidi e sottili come seta,(1) che costituivano una specialità di quei, pascoli profumati ora quasi tutti scomparsi. «A Sud-Est del punto in cui il confine della Provincia di Bari e quella di Basilicata, lasciata la naturale direzione Sud-Est, piega, senza giustificazioni geografiche, a Nord-Est, cioè lasciato il Basentello, raggiunge; per un momento, il torrente Rovenieri, si distende la fertile contrada di Monte Serico, formata di più alture, fra cui è intercettato il piano della Regina con la masseria omonima, di proprietà dei signori Mennuni, feconda di pingui raccolti» (Laccetti).    

    Confina, quindi, con i territori dí Spinazzola, Altamura, Gravina, dalla parte delle Puglie; con quelli di Irsina, Oppido Lucano, Banzi, Palazzo San Gervasio e col rimanente territorio di Genzano, dalla parte della Basilicata.

    Apprendiamo dalla prammatica 1^ «De Salaria», pubblicata da Ferdìnando d'Aragona il 14-2-1443, che il Monte Serico era un Regio Demanio; proveniva dalla Nobile Donna Aquilina Sancia.

Nel discorso scritto in lingua spagnola il 1582 (2) per ordine governativo, è detto: «Tra le terre comprese nel Real patrimonio si annovera l'intero Monte Serico distinto in ventidue difese: 1. Castel de Capo; 2. Castel de Pede; 3. Lo Pyraino; 4. Lo Percojo; 5. L'Adviano; 6. La Copecchia; 7. Piana Cardona Grande; 8. Piana Cardonella; 9. Serra Chimino; 10. La Minerva; 11. La Gombarda; 12. Santo Padre en Ulmo; 13. Monte de Poto; 14. Monte Cucolo; 15. Lo Canno; 16. Pesco Lambardo; 17. Bosco de San Lorenzo; 18. Li Solagni; 19. Capradosso; 20. Cerasola grande; 21. Cerasola piccola; 22. La Petranciosa.

    Tale divisione, con lievi varianti nei nomi, vien confermata dal Di Stefano nella Ragion Pastorale. Tom. II., pag. 32.

    Ma il nostro Monte Serico non fu sempre alla dipendenza della R. Corona, a volte venne dato in feudo. Infatti Ferdinando il Cattolico lo donò alla Duchessa di Milano, Isabella d'Aragona, il 7 giugno dell'anno 1507 (3).

    Alla morte di Isabella il feudo venne dall'Imperatore Carlo V dato alla di lei figlia Bona (4), Regina di Polonia. Morta costei, nel 1557, il Monte Serico, devoluto alla Corona, rientrò a far parte del patrimonio della medesima (5). Non si conosce con precisione come e quando fu aggregato al Tavoliere delle Puglie, del quale seguì la sorte.

    Secondo il De Dominicis, l'annessione avvenne nel 1582, secondo il Barberio (Istruttoria Demanii di Spinazzola) dal 1447 al 1542.

    Gli scrittori concordemente affermano che nel Monte Serico si allevarono, per conto del Sovrano, le razze più scelte delle giumente, dei puledri e dei bovi (6).

    Sotto gli Aragonesi gli allevamenti di Basilicata vennero aumentati (7) per cui il Monte Serico acquistò speciale importanza. Ma i terreni del Monte Serico si cedevano non solo a pascoli ma anche a cultura.

    Tra gli affittatari generali di detto territorio nel 1584 figurano i germani Antonio e Domenico Calderoni (8) che furono tra i primi pionieri della locale agricoltura.

    Con bando della Regia Camera del 9-10-1589 si metteva all'asta l'affitto di parte del Monte Serico e propriamente quella in cui la Corona teneva l'industria dei bovi (centocinquanta capi).

    Vi concorse, tra gli altri, tale Ludovico De Ruggiero ma vi rimase aggiudicatario un certo Giacomo Majr (9) che si rese celebre per il generoso tentativo di bonifica delle zone paludose.

    Nel 1600 il Re fece del Monte Serico una concessione di fitto al reggente Tapia o Tappia, illustre Marchese di Belmonte, sua vita durante, per ducati annui seicento, fitto che continuò sino al 1644 epoca(10) del decesso del reggente.

    Nel 1649 fu ordinato dal Vice Re Conte Ognatte «che vi fossero rinsaldite (le terre) per essere unicamente adatte a pascolo specialmente dei castrati, e capace di fornire erbe a pecore centoquarantamila quattrocento ventiquattro». Il Decreto del Vice Re, portante la data del 18-10, venne riconfermato dalla Regia Camera della Summaria in data 24-12-1649 su relazione del Presidente Alloe, Duca di Lauria (10).

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(1) Stefano Di Stefano. Ragion Pastorale. Tom. I, pag. 32. Napoli 1781.

(2) De Domenicis. Stato politico ed economico della dogana della Mena delle pecore in Puglie. Vol. 1, pag. 172. Napoli 1781. 

(3) Atti per la serenissima Regina di Polonia col R. fisco. Processo n. 1618 Real Camera.

(4) De Dominicis Voi. I. pag. 275.

(5) De Dominicie. Voi. 1, pag. 177.

(6) Abate Trojlo. Storia generale dei Reame di Napoli. Voi I, pag. 169.

(7) Avv. Enrico Cenni. Comparsa in data 20-5-1872.

(8) Avv. Marotta.

(9) Aw. Marotta.

(10) Di Stefano. Opera citata, Toma 11, pag 19.