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Il Romanzo di Monteserico, SOTTO L'ARCO DI EROS di Ettore Lorito

 

PARTE QUINTA

 

Così era scritto!

 

    Passato il periodo di stordimento causato dalle esigenze del matrimonio, quando la vita riprese il suo naturale ritmo, Clotilde cominciò a sentire uno strano vuoto nell'animo, nostalgia della vita di fanciulla? Rimpianto della famiglia? No!

    Circondata dalle cure più amorose e delicate da parte del marito, sentiva fastidio perché, tutte quelle attenzioni, non le toccavano il cuore, come avrebbe desiderato.

    Si sforzò di amare lo sposo che nulla trascurava e niente risparmiava per renderla felice, povero Gastone! Cercava di assecondare il minimo capriccio della consorte, che adorava ogni giorno di più, la marchesa, con terrore, si avvide che erano trascorsi circa due anni dal giorno dello sposalizio e la situazione non accennava a migliorare.

    Per reagire contro l'insensibilità del suo cuore, spesso, carezzava la bruna chioma dell'innamorato marito e lo ringraziava di tutte le cure, di tutte le attenzioni che le prodigava, ma appena rimaneva sola, la sua mente precipitava nelle fantasticherie più tetre, che prendevano colore e forma, a mano a mano che il tempo passava.

    La tremenda profezia della pitonessa di Genzano ricominciò a tormentarla mentre, una diabolica voce, le sussurrava: « Tu devi essere di Rodolfo e solo allora il tuo cuore sarà sazio e avrai pace », e nei pazzi sogni, ad occhi aperti, quanta lussuria! La lotta, senza quartiere, che l'infelice combatteva per scacciare la funesta passione che infieriva nel suo cuore come un turbine, la rendeva sempre più melanconica e faceva sfiorire la sua bellezza.

    Ad accrescere lo stato di tristezza contribuì, non poco, la constatazione, che il matrimonio non sarebbe stato santificato dalla maternità, una notte, come un angelo sfolgorante di luce e di bellezza divina, le apparve, in sogno, il fratellastro che le diceva: « Vieni tra le mie braccia perché ti possa tutta possedere come tu desideri, ti scioglierò la chioma bella e ti succhierò, con i miei ardenti baci, il sangue, l'anima in una notte che non dovrebbe finir mai ».

    - Si, prendimi tutta, come ho sempre sognato, innalzeremo al cielo il più ardente cantico d'amore, ancora mezza addormentata, sudata, con gli occhi smarriti, balza dal letto, si avvicina al maestoso specchio veneziano, lascia cadere, per terra, la vestaglia e rimane a rimirare il suo corpo veramente meraviglioso!

    - Eccomi, sollevami e trasportami vicino al sole, ove, da molto tempo, ti ho eretto un trono d'oro, - esclama mentre si abbatte al suolo in preda al delirio.

    Quando rinviene, sempre in preda all'esaltazione che la visione le ha causata, forse al fine di dare sfogo al suo stato d'animo, tanto esasperato, si avvicina al suo tavolo e scrive dettagliatamente del suo sogno e del conseguente delirio.

    Chiude lo scritto nello scrigno in cui tiene, gelosamente custoditi, alcuni ritratti del fratello, si sdraia sul letto e continua a fantasticare ed a sognare, ad occhi aperti.

    Nella sfarzosa dimora del marchese Xxxxx, non mancavano i divertimenti, le gite organizzate in onore della « fata di Monteserico » come in città la chiamavano, ma tutto ciò non riusciva a tranquillizzare donna Clotilde.

    In occasione del suo onomastico, il tre giugno, il marchese volle dare una grandiosa festa di ballo alla quale vennero invitati i parenti e le famiglie ragguardevoli della regione.

    Da una settimana, nella « Villa delle Rose » vi era una insolita animazione a causa degli ospiti che giungevano da tutte le parti ad ogni ora.

    Solamente la contessa zia non poté muoversi dal castello di Monteserico, la marchesa Clotilde baciò, con malcelata gioia, il fratello che, per accontentare il cognato, aveva momentaneamente lasciato Napoli, si era sottoposto ad un lungo e pericoloso viaggio, ed aveva sfidato la severa sorveglianza della polizia borbonica, perché « sospetto nemico del trono ».

    Parve a tutti, che i preparativi della festa, avessero contribuito a migliorare sensibilmente l'umore nero di donna Clotilde, che si vedeva sorridere e si sentiva persino canticchiare.

    La sera del grande ballo, la marchesa fu impareggiabile padrona di casa e ritrovò, nel gentil compito che espletava, tutto l'ardore, tutta la signorilità ed il buon gusto che le erano così abituali, un tempo.

    Per invito del cognato, Rodolfo sedette al piano ed Elena, sempre più bella, sempre più luminosa nella grazia dei suoi venti anni, cantò le più apprezzate romanze del tempo, suscitando meritati applausi, poi la bella coppia dei promessi sposi si slanciò nei vortici delle danze riprese con ritmo più festoso.

    Donna Clotilde provò una stretta al cuore e dovette uscire sulla terrazza perché si sentiva soffocare la gioia pura del fratello e della sua fidanzata era un tormento atroce per il suo animo ormai in balia della mostruosa passione, ridestatasi con maggior violenza, perché accompagnata da brividi di sensualità, che sentiva fluire per la nuca, i reni, le ginocchia, prima mai intesi, o non bene identificati.

    L'immagine del fratello la perseguitava ovunque ed in tutte le ore, stregata, avvilita dall'insoddisfatta insana passione che la dominava completamente, rosa dalla gelosia, non riusciva a vivere un momento serena.

    Aveva fatto di quella passione l'essenza più importante della sua vita, soffocata dal tumulto degli affetti e inorridita dallo stato in cui era precipitata, si abbandonò su di una sedia e pianse disperatamente.

    La festa, veramente degna del casato, ebbe termine dopo il tocco.